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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2013 alle ore 08:40.

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Pare sia la donna più rappresentata in opere d'arte della storia, dopo Cleopatra e la Vergine Maria. Stregò l'Europa di inizio Novecento, fu amante di Gabriele D'Annunzio, fece di se stessa un monumento, travestendosi di volta in volta da Salomè, Regina della Notte, Arlecchino, Cesare Borgia. La marchesa Casati, nata Luisa Amman, è stata una Lady Gaga ante litteram e ancor più audace, senza alcun talento a giustificarne le stranezze. Come scrive Vanna Vinci, in un balloon della sua graphic novel, «aveva un temperamento artistico, ma non sapeva esprimerlo in nessuna forma». Poco importava a lei che ambì solo a essere un capolavoro vivente.
La Casati è un fumetto dark e ironico sulla vita della borghese che sposò il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino nel 1900, per poi sbarazzarsene appena 14 anni dopo: fu il primo divorzio legale italiano. La nobildonna frequentava artisti e scrittori, stilisti e dandy, da Cecil Beaton a Jean Cocteau, da Man Ray a Giovanni Boldini, da Giacomo Balla a Filippo Tommaso Marinetti (che la definì la «più grande futurista del mondo»): di molti fu amante, di pochi amica. Amava gli animali molto più degli uomini; girava con pantere e giaguari al guinzaglio, indossava pitoni come fossero collane. Le sue case, sparse tra Venezia, Parigi e Roma erano uno zoo; quando Isadora Duncan andò a trovarla fu aggredita da due pappagalli che gracchiavano: «Puttana! Puttana!». Alta e filiforme, «la musa egoista» vestiva sempre in modo eccentrico, quando non usciva nuda, coperta solo di un filo di perle: occhi bistrati, chioma ora rossa ora verde, viveva di vizi e di feste, chiedendo intanto la benedizione del cardinale. Tutto l'annoiava, niente la sconvolgeva: persino Hollywood la deluse; commentò con sufficienza che là tutte le donne non avevano classe, sembravano fatte in serie, «come le pagnotte». La sua carriera durò poco: a cinquant'anni era già sul lastrico, con un debito immenso di 25 milioni di dollari. Volò a Londra, per stare vicino alla figlia, ma non partecipò nemmeno al suo funerale. Si rivolse allora alla nipote, che la distraeva dalla mania dell'occulto e la portava a cena fuori. Morì proprio durante una seduta spiritica nel 1957. Fu sepolta con il cane imbalsamato e le ciglia finte. Sulla lapide fu inciso un verso shakespeariano dedicato alla "rivale" Cleopatra: «L'età non può appassirla, né l'abitudine rendere insipida la sua infinita varietà».
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Vanna Vinci, La Casati, Rizzoli Lizard, Milano, pagg. 96, € 17,00

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