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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2013 alle ore 08:39.

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Onegin. Commentaries, il nuovo spettacolo di Alvis Hermanis – nuovo almeno per l'Italia, avendo debuttato un paio d'anni fa a Berlino – che ha aperto il Festival «Vie» di Modena, è esattamente ciò che il titolo indica: una messinscena dell'Eugene Onegin in cui il romanzo in versi di Pushkin – secondo il tipico stile del regista lettone – si intreccia con commenti e interventi critici su di esso.
Hermanis, in un certo senso, riprende e ribalta il modus operandi adottato anni fa nell'indimenticabile By Gorky: se in quell'occasione aveva affrontato I bassifondi di Gorky alternando battute del dramma a racconti e confessioni personali degli attori, dunque soggettivando al massimo il suo approccio al testo, qui fa il contrario: usa il testo per parlare della vita dell'autore, della sua epoca, del suo ambiente; quindi lo oggettiva, lo trasforma quasi in un puro materiale documentario.
La scena stessa, particolarmente estesa in larghezza, mostra un appartamento, o una serie di spazi accostati l'uno all'altro, che potrebbero essere la casa del poeta o i vari luoghi in cui si svolge l'azione dell'Onegin, integrati da proiezioni di ritratti e paesaggi. A entrare per primo è un attore che si muove come una scimmia, perché pare che Pushkin fosse di aspetto scimmiesco. Lo descrive come accanito dongiovanni, evoca le sue 113 amanti. Un altro tratteggia l'uomo che uccise Pushkin in duello: nessuno dei due interpreta il proprio personaggio, si limitano a enunciare i dettagli delle rispettive biografie.
Solo più avanti ne arriva un terzo che, con gesti languidi, parodistici, incarna Onegin, seguito dall'amico Leskij e dalle due donne che costui gli presenta, Tatiana e Olga. Ma alle vicende dei loro amori continueranno a sovrapporsi annotazioni e analisi di costume, tratte da brani di vari studiosi e scrittori. Si potrebbe anzi dire che i frammenti direttamente attinti all'opera originale, citati, più che recitati con piena adesione, non siano che il pretesto per un affresco sulla Russia ottocentesca.
Tra satira e curiosità sociologiche, Hermanis offre una sorta di raffigurazione olfattiva della società di allora: a colpire è soprattutto l'immagine di un'aristocrazia poco incline a lavarsi, il tanfo dei corpi assommato ai profumi usati per coprirlo, al vomito, alle flatulenze. Vi sono alcune belle invenzioni teatrali, Tatiana che si sposta sui mobili senza toccare mai terra, l'orso creato a vista con una pelliccia: nell'insieme, però, prevale un certo tono didascalico. Gli attori sono bravi, l'idea è geniale, ma la sua realizzazione non sembra perfettamente risolta.
Come sempre nei festival, a un appuntamento molto atteso, che si rivela un po' al di sotto delle aspettative, fa riscontro una scoperta imprevista. In questo caso è un giovane gruppo ferrarese, il Collettivo Cinetico, che ha presentato una straordinaria performance sotto un tendone a Mirandola, nell'ambito delle iniziative destinate alle zone terremotate: una di quelle proposte che, se venissero dal Nordeuropa o dal Sudamerica, sarebbero salutate come l'evento della stagione, e inducono a credere sempre più in questo nostro nuovo teatro che continua a dimostrare una vitalità senza pari.
Il titolo, Age, rende omaggio a John Cage, ma allude anche all'età dei partecipanti. La regista Francesca Pennini ha infatti lavorato con un gruppo di ragazzi che non avevano finora messo piede in palcoscenico: ne ha indagato i gusti, l'identità, la coscienza che hanno di sé, traducendo i risultati di questa sua ricognizione interiore in una sintassi fisica tanto impassibile e stralunata quanto applicata con un rigore commovente.
L'inizio è fulminante, col computer che proietta sulla ribalta vuota le indicazioni degli oggetti – 1 tavolo, 2 panche, 4 bottiglie d'acqua, 9 teenager – necessari via via a comporre la scena. Quando i ragazzi si sono seduti sulle panche, le scritte luminose indicano loro le situazioni da mostrare, provate, ma riproposte ogni sera in ordine casuale: con gesti straniati, volti inespressivi, sguardi assenti, danno vita a una bizzarra tipologia umana – esemplari che si mangiano le unghie, esemplari che sanno mentire, esemplari vergini – poi a surreali schemi di comportamento, in un ironico svelamento che diventa una toccante testimonianza generazionale.
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