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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2013 alle ore 08:37.

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Con Esther Williams, morta giovedì scorso a 92 anni, se ne va una figura tipica della "fabbrica dei sogni" hollywoodiana del dopoguerra, cinema d'evasione colorato, sontuoso e professionalmente impeccabile. Il nome dell'attrice è legato soprattutto a un pugno di film realizzati tra gli anni Quaranta e Cinquanta, nel periodo smagliante del Technicolor. I suoi "musical acquatici" prodotti Metro Goldwyn Mayer furono successi planetari, e lei divenne per alcuni anni una della massime star di Hollywood. Campionessa di nuoto, aveva cominciato a esibirsi in una rivista acquatica, a fianco del campione olimpico Johnny Weissmuller, l'interprete di Tarzan. Anche Esther avrebbe dovuto partecipare alle Olimpiadi, ma il periodo di suo fulgore atletico coincise con gli anni della Seconda guerra mondiale, che comportarono la sospensione dei giochi fino al 1948. Nel frattempo, lei era diventata una diva del cinema. Dopo la pattinatrice Sonja Henje, lo studio cercava un'altra atleta-attrice, e la bella nuotatrice era perfetta. Per un decennio, il suo nome fu forse il più redditizio tra quelli della Mgm. Dopo il primo piccolo ruolo nel '42, in un film della serie di Andy Hardy a fianco di Michey Rooney, era esplosa con Bellezze al bagno (1944) di George Sidney, col primo dei suoi celebri balletti sott'acqua.
In alcuni film i numeri di nuoto erano secondari (La matadora, di improbabilissima ambientazione messicana, 1947; Facciamo il tifo insieme!, 1949, in cui recitava insieme a Gene Kelly e Frank Sinatra) e in altri invece erano più presenti (La figlia di Nettuno, 1949). Nei numeri musicali (spesso coreografati da Jack Donohue) la macchina da presa permetteva di prolungare oltre misura, "barando" con il montaggio, la durata delle apnee, per cui l'attrice si trovava, grazie ai raccordi invisibili, a muoversi con grazia e disinvoltura per un tempo imprecisato. E allo stesso modo, le riprese subacquee in Technicolor costruivano un'attrazione mirabile, che nessuno spettacolo dal vivo avrebbe potuto eguagliare: un espediente perfetto per quella Hollywood che cercava di ridefinirsi, anche davanti alla concorrenza del piccolo schermo. Il picco della carriera cinematografica di Williams è probabilmente La ninfa degli antipodi (1952) di Mervyn LeRoy, biografia di Annette Kellermann, poliomelitica da bambina e poi diventata campionessa di nuoto e attrice. Un paio di sontuosi numeri di danza erano in questo caso curati dal più grande coreografo della storia di Hollywood, Busby Berkeley. L'ultimo film di Williams per la Metro è l'ambizioso Annibale e la vestale (1956), un mezzo fiasco. Hollywood cambiava, e l'attrice passò alla Universal con un film ambientato in Sardegna, Vento di passioni (1959), in cui compariva tra l'altro Eduardo De Filippo. Poco dopo lasciò il cinema, dedicandosi ad attività imprenditoriali e filantropiche. Il suo nome rimaneva nel cuore degli spettatori dell'epoca, e di quelli più giovani che purtroppo l'hanno vista solo su piccoli schermi.
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