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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2013 alle ore 08:39.

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Scrivere di sport è un mestiere, anche piuttosto ostico se non si vuole scadere in frusti tecnicismi, barocchismi da bar o metafore "agghiaggianti", come direbbe Maurizio Crozza nei panni del ct della Juventus Antonio Conte. Io sono il calciatore misterioso è un libro elegante e asciutto, firmato da un anonimo bomber (o terzino, o centrocampista…) della Premier League, oggi in declino fisico, mentale, economico. Non si tratta, però, di un amarcord, né di un trattato livoroso sulla Serie A inglese, quanto di una guida iniziatica ai misteri eleusini del calcio, le memorie da un sottosuolo abietto, popolato di idoli, fantasmi di gloria, squali. Il capitolo più succulento, infatti, è dedicato ai "cattivi comportamenti": hotel di lusso, bagordi, prostitute d'alto bordo, improbabili sfide di champagne al costo di 130 mila dollari, Ferrari distrutte per passatempo, cocktail accompagnati da armi da fuoco con cui poter sparare a fine serata, trasferte da sogno e da incubo, come quella volta in cui «Lindsay Lohan ci aveva invitati a casa sua a Los Angeles. Alcuni decisero di noleggiare una macchina e andare, cosa che a me non interessava particolarmente. La mia si rivelò una decisione saggia perché, arrivati lì, capirono immediatamente che lei era agli arresti domiciliari. Come uno dei ragazzi mi ha poi raccontato, "Abbiamo guidato cinque ore per vedere un film del cazzo". Idioti».
Ma è il gioco il protagonista, dall'iniziazione nelle squadre giovanili agli allenatori (i cosiddetti "manager"), dal razzismo dei tifosi alla fobia dei giornalisti, dagli agenti disincantati agli ingaggi milionari. Il calciatore misterioso non pecca di pelosa ipocrisia: «Scusate se tutto sembra motivato unicamente da questioni finanziarie, ma è la verità ed è il motivo per cui tanti di noi stanno cominciando a fare questo lavoro». La «Soccernomics» è una scienza, con corollario di mazzette (sempre meno) e scommesse (imprescindibili: «Gioco d'azzardo e calcio sono inseparabili»). «L'essere pagati troppo non esiste», eppure la ricchezza dei calciatori viene guardata con sospetto perché «non riusciamo a liberarci dell'idea che il calcio sia della gente e questa gente appartiene alla classe operaia, il che significa che a nessuno è permesso di fare "una quantità oscena di soldi"».
Troppo ricchi e viziati per i proletari, ancora zotici e cafoni per gli alto borghesi: i giocatori di calcio non appartengono a nessuna classe sociale, sfuggono al battesimo marxista, abitano il limbo dei parvenu. Qualche anno fa, autore e compagni andarono al Festival dell'ippica di Cheltenham: si sedettero a un tavolo e iniziarono a scommettere pesantemente e chiassosamente, sotto gli occhi disgustati dei vicini, un gruppo di «mummie in tweed», membri dell'upper class e habitué del posto. I calciatori vinsero ben 50 mila sterline; «dal tavolo in tweed giunse una grassa risata. Un'agiata signora ci disse: "Con quelli ci rimediate un mucchio di Wags (mogli e fidanzate, ndr)"». Piccato, il capitano della squadra iniziò a stracciare le banconote, gettandole «in aria, a pioggia, sulla donna e i suoi ospiti», che si affrettarono a trovare dello scotch per rimettere insieme i soldi.
Tra miseria e nobiltà, «incombe la fine»: così si intitola l'ultima sezione, scandita da «diniego e isolamento, rabbia, depressione». «Purtroppo il fatto che le malattie mentali possano colpire anche chi è ricco e gli sportivi in particolare, percepiti dal pubblico come persone che fanno il lavoro che amano, resta per alcuni un concetto difficile da accettare». Eppure c'è chi si impicca, come quel Gary Speed che si è tolto la vita il giorno dopo che il calciatore misterioso aveva pubblicato queste righe sul «Guardian»: l'innominato scrittore è, infatti, dal 2011 un columnist del quotidiano britannico, curando una rubrica di retroscena da cui poi è nato il pamphlet che «solleva il coperchio su un gioco bellissimo«, come recita il sottotitolo all'edizione inglese. Evidentemente per lui il calcio è un vaso di Pandora, i cui mali si combattono «con l'aiuto ogni mattina di 15 mg di Mirtazapina, che agisce da sonnifero antidepressivo (un ossimoro come pochi altri), e 20 mg di Citalopram», altro antidepressivo.
«I media, le donne e l'alcol, qui c'è tutto, in un repertorio che va dallo spassoso al terrificante», scrive nell'introduzione il vicedirettore del «Guardian» Paul Johnson. E sul web è stato creato un sito ad hoc, Whoisthesecretfootballer.co.uk, in cui si scatenano le ipotesi sull'identità del giocatore. Il sospettato numero uno è l'ex del Liverpool Danny Murphy: è a fine carriera; ha giocato in Nazionale; ha avuto avversari come Rooney, Henry, Ronaldo; è stato «Calciatore dell'anno»; era una giovane promessa, ma ha sprecato il suo talento. «Okay, alzo le mani. Non ho mai raggiunto il mio pieno potenziale. Ho troppi difetti caratteriali. Tutto il resto sono scuse. Ma il calcio è uno sport crudele». Senza contare i guai col fisco, che l'hanno costretto a vendere gran parte dei tesori accumulati, dalle opere d'arte alle magliette dei vip del football. Però la depressione ha partorito un gran libro, quel «genere di libro che non scriverò mai», confessa Gianluca Vialli nella prefazione, riconoscendo all'anonimo doti di scrittura, cultura, coraggio e spudoratezza. Rispetto ai colleghi, il calciatore misterioso eccelle nel mestiere di calciare, così come in quello di scrivere. Quanto al mestiere di vivere, chiedere al suo psichiatra.
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Io sono il calciatore misterioso, Isbn, Milano, pagg. 186, € 19,00

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