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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2013 alle ore 16:54.

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La disuguaglianza dall'antica Roma ai tempi nostri

Avete già sentito parlare dell'esclusivo resort di Lough Erne, vicino a Enniskillen in Irlanda del Nord (un paio d'ore d'auto da Belfast)? Lunedì 17 e martedì 18 ospiterà il vertice G-8 di quest'anno. La Gran Bretagna ha la presidenza di turno e il premier conservatore David Cameron ha fatto questa scelta (nonostante qualche critica), perché «sarà una pubblicità fantastica per l'Irlanda del Nord», ironizzando sull'eventuale problema di riuscire a tenere «il presidente Obama lontano dal campo di golf».

Nell'agenda della presidenza britannica ci sono soprattutto le tre "T" di Tax, Trade e Transparency": un trinomio che passa per la liberalizzazione del commercio internazionale, il miglioramento dei sistemi di riscossione delle tasse e una maggiore trasparenza, per rafforzare le economie del G-8, facendo da stimolo e apripista anche per interventi di più ampio respiro a beneficio di tutti i paesi del mondo.

Per la prima volta dal dopoguerra in Occidente la generazione dei giovani in età da lavoro non ha più le aspettative crescenti dei loro genitori. John Maynard Keynes, grande economista britannico della prima metà del Novecento, non è stato un buon profeta nel prevedere che, entro i primi decenni del nostro secolo, grazie al progresso tecnico, avremmo lavorato tutti non più di quindici ore a settimana (così scriveva nel 1930, nel saggio "Prospettive per i nostri nipoti"). La sua utopia della libertà dal lavoro si è paradossalmente realizzata a rovescio: quanti disoccupati – italiani e non solo - che hanno venti o trent'anni vorrebbero poter lavorare "almeno" quindici ore a settimana…

Per un insieme di fattori economici, politici e sociali, «il periodo maggiormente egualitario della storia d'Italia fu tra gli anni sessanta e ottanta, così come il ritorno, a partire dai primi anni novanta, a una maggiore concentrazione del reddito nelle tasche del 5% più fortunato della popolazione». Con questo paragrafo dedicato al nostro paese, Gianni Toniolo introduce l'edizione italiana del libro di Branko Milanovic "Chi ha e chi non ha – Storie di disuguaglianze" pubblicato di recente da Il Mulino (pagg. 255, € 16,00). Economista alla Banca Mondiale e docente nell'Università del Maryland, Milanovic ha dedicato la propria vita professionale agli studi sulla distribuzione dei frutti della crescita economica e sulla disuguaglianza globale. Su questo tema ha scritto un libro rigoroso, ma anche accattivante nella divulgazione scientifica, raccontando una serie di casi esemplari desunti dalla storia e anche dalla letteratura, per spiegare come mai reddito e ricchezza si sono distribuiti nel mondo in maniera tanto disuguale nel tempo e nello spazio.

Crasso, Rockefeller o Bill Gates: chi è il più ricco?

Dalla Roma antica agli Stati Uniti di oggi: chi è l'uomo più ricco di tutti i tempi? Il triumviro Marco Crasso, la cui fortuna attorno all'anno 50 a.C. era stimata in 200 milioni di sesterzi, il petroliere americano John D. Rockefeller, considerando il suo patrimonio al picco di 1,4 miliardi di dollari del 1937 oppure Bill Gates, che nelle ultime stime ha un patrimonio di quasi 80 miliardi in dollari correnti? «Paragonare i redditi del passato con quelli presenti non è facile – scrive Milanovic - non abbiamo un tasso di cambio che ci permetta di convertire i sesterzi romani con i dollari di oggi a parità di potere d'acquisto. Non solo, i panieri sono cambiati: non c'erano i dvd in epoca romana. I servizi allora erano relativamente economici perché i salari erano bassi, il contrario sarebbe vero per il prezzo del pane e dell'olio d'oliva». Tuttavia l'autore del libro trova un buon sistema per fare il confronto. Ecco le sue conclusioni: il reddito annuo di Crasso era uguale a quello di circa 32mila persone, una folla che poteva riempire metà del Colosseo; il reddito di Rockfeller nel 1937 corrispondeva al reddito di circa 116mila americani, che avrebbero riempito con facilità il Pasadena Rose Bowl (uno degli stadi di football americano più grandi degli Stati Uniti) e in diversi sarebbero dovuti rimanere fuori dai cancelli; Bill Gates potrebbe disporre di quasi 100mila lavoratori, resterebbe dunque un po' al di sotto di Rockefeller.

Sopravviverà la Cina fino al 2048?

Riprendendo il titolo di un pamphlet del dissidente russo Andrej Amalrik, "Sopravviverà l'Unione Sovietica fino al 1984?", scritto nel 1970 quando l'Urss era all'apice della potenza militare e politica, Milanovic si è posto la stessa domanda sull'odierna Cina: «La principale e più seria minaccia all'unità cinese è la crescente disuguaglianza».
Anche in epoca maoista il reddito delle città era più alto di quello delle campagne, ma dal 1978 in avanti il coefficiente Gini – che misura il tasso di uguaglianza (valore "0") o disuguaglianza (valore 1) – da 0,16 è aumentato fin verso quota 0,50, causando tensioni prima ignote in una società quasi egualitaria.

Negli Stati Uniti ricchi e poveri sono più o meno equamente distribuiti in tutto il paese, anche se vivono in quartieri diversi. Lo sviluppo della Cina a partire dai primi anni novanta ha invece prodotto una disuguaglianza fra le cinque province costiere in forte crescita e le province povere. Nelle quattro principali città cinesi – Pechino, Tientsin, Shanghai e Chongqing – e nelle zone speciali di Hong Kong e Macao, il divario è ancora più alto. Il rapporto del Pil pro capite tra le province più ricche e le più povere – almeno di 10 a 1 – «è significativamente maggiore del rapporto che esisteva in Urss nei suoi ultimi anni». La situazione non è la stessa: l'Unione Sovietica era una federazione su base etnica, gli Han cinesi rappresentano una singola popolazione, ma la stessa Cina Han ha una storia di disgregazioni interne, e ci sono aree periferiche di diversa etnia, come la Mongolia interna e il Tibet.

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