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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2013 alle ore 08:37.

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Quale museo europeo ha 11.500 metri quadrati di spazio solo per le opere monumentali, per le installazioni ambientali, per i video? O una tre giorni di conversazioni d'arte che tocca quattro continenti, con relatori che arrivano dall'Africa, dal Sudamerica, dall'India? Art Basel ce l'ha. E da quest'anno ha anche una sede integralmente rinnovata da Herzog e De Meuron. Così, sia sul fronte architettonico che su quello per così dire "didattico", cioè la possibilità per il grande pubblico di vedere pezzi recenti degli artisti più importanti del mondo, il luogo comune «Le fiere sono i nuovi musei» diventa sempre più vero. La fiera d'arte moderna e contemporanea che chiude questa sera la sua 44ª edizione nella nuova Messe Hall di Basilea ne è l'esempio più forte, con 300 gallerie da tutto il mondo (17 italiane) e un programma frenetico di eventi collaterali, percorsi, film, talks, mostre. I visitatori contati alla chiusura delle porte saranno quasi 70mila.
Sin dalle ore prima dell'apertura si sono registrate vendite numerose, importanti, velocissime. Tra i primi pezzi a essere aggiudicati, un gigantesco Rosenquist del 1977, Terrarium, da due milioni di dollari, e un Baselitz del 2013, che ha sfiorato invece il milione di euro. Ha un ottimo mercato Robert Longo il cui Summer Hallucination del 2013 è stato venduto per oltre mezzo milione di euro, e sembrano non conoscere crisi i "soliti" Kapoor, Murakami, Tony Cragg, Yoshitomo Nara, Louise Bourgeois.
Come succede ad anni alterni, tra gli artisti più richiesti ci sono quelli esposti dentro e intorno alla Biennale di Venezia, da Hans Josephsohn, venduto a oltre mezzo milione di franchi, a Cindy Sherman, il cui Untitled Film Still del 1979 costava 800mila dollari; da Sarah Sze, protagonista del padiglione americano, che è andata subito a ruba, alla francese Camille Henrot che ha vinto il Leone d'Argento; da Anthony Caro che ha una grande mostra al Museo Correr all'olandese Mark Manders, una cui scultura in argilla è stata venduta per 140mila euro. Anche il settore del moderno – peraltro sempre più mescolato, anche negli stand, al contemporaneo – ha registrato molti scambi: un grande Mirò del 1954 per un milione e 600mila dollari, un Yves Klein del 1961 che aveva un prezzo di partenza di due milioni ottocentomila dollari, un Mobile di Calder del 1961 a oltre 10 milioni di dollari, tutti aggiudicati in poche ore. Una gran parte dei compratori risulta provenire dall'Europa - la stessa Europa arroventata in questi giorni dagli scioperi generali. E uno spiacevole episodio si è infatti inserito in questo clima positivo quando, venerdì sera, l'installazione Favela Café del giapponese Tadashi Kawamata è stata usata per un "party non autorizzato" nella Messeplatz da un centinaio di persone. Quando è arrivata la polizia la festa è finita con spray al pepe, lanci di bottiglie e l'installazione distrutta. Il video del breve scontro è andato su Youtube e sono fioriti commenti sul ruolo dell'arte contemporanea come catalizzatore delle inquietudini sociali.
A chi teme poi che i grandi numeri dell'arte - dalle quotazioni degli artisti alla quantità dei visitatori di fiere e biennali - siano il presagio di una nuova bolla pronta a scoppiare, risponde Marc Spiegler, direttore "intercontinentale" di Art Basel: «Negli ultimi 25 anni nessuna recessione ha mai visto davvero implodere il mercato dell'arte: ci possono essere momenti di contrazione ma sul lungo periodo l'espansione è costante. Perchè, molto semplicemente, il nucleo di coloro che si interessano d'arte è in crescita continua. E una fiera non serve solo a comprare: è anche luogo di incontri, scoperte, ispirazioni. Se ne esce pieni di nuove idee». I migliori investimenti.
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