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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2013 alle ore 08:36.

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Al centro dello studio di Vittorio Manes Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni fra il diritto penale e fonti sovranazionali sta il percorso di dissoluzione del ruolo dell'interprete che si è andato compiendo, e si va compiendo, al cospetto della moltiplicazione – e della "frantumazione stellare" – del sistema delle fonti del diritto.
Non si tratta soltanto di una mutazione quantitativa, che costringe ad aggiungere alle fonti interne anche l'esame di quelle di derivazione sovranazionale per la risoluzione di ciascun caso concreto; si tratta, piuttosto, di uno scarto qualitativo, che impone al giudice di destreggiarsi tra tipologie nuove di precetti, che alterano la stessa struttura logica del percorso esegetico, non più articolato nella tradizionale progressione dialettica che si muove in maniera lineare tra la norma astratta (premessa maggiore) e la vicenda del caso concreto (premessa minore), per pervenire alla regola applicabile alla fattispecie.
Non sono cambiate, quindi, solo le squadre in campo e il risultato del gioco, ma sono diverse le stesse regole logiche che lo disciplinano.
Tale rivoluzione diventa tanto più significativa nel settore del diritto penale, in cui la tradizione ci aveva consegnato la rassicurante certezza del principio di riserva di legge espressa, nullum crimen sine lege.
Oggi, invece, come acutamente osservato dall'autore, l'interprete deve confrontarsi, oltre che con le regole positivamente disciplinate dalle fonti tradizionali interne, anche con "disposizioni senza norme", come le varie Carte dei diritti, che sanciscono principi fondamentali, ma non forniscono concretizzazioni analitiche, ma anche con "fonti senza disposizione", quali le pronunce delle Corti europee, capaci di condizionare il contenuto del tessuto normativo a un livello addirittura supralegislativo (o "paracostituzionale"), senza tuttavia definire precetti "generali" e "astratti".
Dunque entrano in gioco, sempre più, fonti tipologicamente originali, atipiche, eterogenee. Basti pensare alle pronunce della Corte di Strasburgo, che condizionano con intensità crescente l'ermeneutica, le decisioni giudiziarie, le stesse scelte legislative nei più disparati settori: dalla fecondazione assistita alle carceri, dalla espropriazione per pubblica utilità alla confisca negli abusi edilizi, sino al trattamento pensionistico.
Un universo giuridico – insomma – straordinariamente variegato e complesso, di cui lo Stato nazionale è sempre meno artefice, e il giudice sempre più protagonista.
Al centro di questa frammentazione sta infatti l'interprete, costretto a governare il magma eterogeneo di sollecitazioni che mettono a dura prova la tradizionale concezione piramidale dell'ordinamento, avvicinandolo piuttosto a una rete multipolare "a geometria variabile".

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