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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2013 alle ore 08:35.

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Due tornado si abbattono sull'Oklahoma in meno di due settimane. Nell'Europa centrale in due soli giorni cade più pioggia di quanto ci si aspetterebbe in due mesi e molti centri abitati in Austria, Germania e Repubblica Ceca sono allagati. Sentiamo parlare sempre più spesso di fenomeni climatici estremi, ed è fatale che ci sia una particolare attenzione a questi eventi perché comportano danni di natura materiale e sociale. Il lavoro scientifico degli ultimi decenni ha dimostrato l'esistenza di un nesso causale fra le attività antropiche e il riscaldamento globale, ma sugli eventi avversi certe conclusioni dei modellisti sono meno condivise. Negli ultimi venti anni la vulgata sui mutamenti climatici ha molto spesso superato gli steccati del quadro scientifico di riferimento sino a conquistarsi una vita propria: in questo modo qualsiasi fenomeno che potremmo considerare inusuale per la nostra esperienza climatica, dalle inondazioni alle bolle di calore, dagli uragani alle frane per eccesso di pioggia, è stata addebitata alle attività umane.
Il governo del clima è entrato fra le priorità di politica internazionale alla fine degli anni Novanta dopo la pubblicazione di un lavoro sul riscaldamento globale dove si sosteneva che l'ultimo decennio dello scorso secolo era stato il più caldo degli ultimi sei secoli. Nel 2001 un rapporto dell'Agenzia dell'Onu per i mutamenti climatici metteva in allarme i governi e l'opinione pubblica mondiale paventando la possibilità che senza una drastica riduzione dei gas di serra – immessi nell'atmosfera dalle attività antropiche – la temperatura sarebbe continuata a salire sino a comportare il rischio di sconvolgimenti di carattere ambientale. Per un certo periodo ha avuto addirittura risonanza l'ipotesi del tipping point, insomma un punto di non ritorno nell'equilibrio climatico che prometteva scenari apocalittici, come l'interruzione della risalita della Corrente del Golfo che garantisce all'Europa settentrionale un clima più mite di quanto ci si dovrebbe attendere a quelle latitudini. Da un punto di vista strettamente scientifico accade spesso che settori di frontiera in rapida espansione comportino la diffusione di risultati hyped, ovvero strillati, e non è da escludere che tutto questo sia accaduto anche alla scienza del clima che aveva necessità di finanziamenti e di spingere i governi verso atteggiamenti più responsabili sulle emissioni. Nonostante l'allarme dei veri accordi globali sulla riduzione dei gas di serra non sono mai arrivati e a giudicare dalle ultime Conferenze delle Parti non si vedono neanche all'orizzonte.
Ma gli avvenimenti degli ultimi venti anni si possono leggere anche in un'altra chiave. È quello che tenta di fare lo storico tedesco Wolfgang Behringer nella Storia culturale del clima, uscito recentemente per Bollati Boringhieri. Nell'ultimo capitolo, dedicato ai fatti più recenti, Behringer sostiene che si sia fatta strada l'idea dei "peccati" contro l'ambiente, qualcosa di molto lontano dal contesto scientifico e sicuramente più vicino alla metafora religiosa. Lo storico tedesco contesta anche la definizione di "equilibrio climatico", riferendosi alle posizioni di James Hansen, professore allo Earth Institute della Columbia University e uno dei massimi ispiratori dei programmi della Nasa per le ricerche sull'atmosfera. L'equilibrio climatico, afferma Behringer, non è mai esistito e la dimostrazione ci viene dai molti lavori sul paleoclima, ma non c'è bisogno di tornare indietro così lontano nel tempo, basta guardare alla storia recente della nostra specie. Durante l'Olocene, alla fine dell'ultima era glaciale, si creano delle condizioni favorevoli per gli insediamenti umani e infatti si arriva rapidamente alla Transizione del Neolitico che ha consentito la nascita dell'agricoltura e delle prime forme di allevamento. Qualche millennio dopo abbiamo un optimum climatico seguito da un ennesimo raffreddamento. Intorno all'anno 1000 arriva il periodo caldo medievale, ma sei secoli più tardi c'è quella che oggi viene definita Piccola Era Glaciale: la resa dei raccolti è al minimo storico da molti secoli, i prezzi dei cereali schizzano verso l'alto dando luogo a quella che viene chiamata la Crisi del XVII secolo. I mutamenti climatici, dice Behringer, sono stati percepiti spesso come delle minacce dando l'opportunità a «falsi profeti e imprenditori morali» di trarne vantaggio. Ma il clima cambia, il clima è sempre cambiato. Come vi reagiamo è una questione di cultura.
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Wolfgang Behringer, Storia culturale del clima. Bollati Boringhieri, Torino, pagg. 348, € 26,00

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