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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2013 alle ore 15:23.

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Pompei, la Casa degli Amorini Dorati riapre le porte dopo due anni di restauri - Foto

Un pezzo importante di Pompei, per lungo tempo sottratto agli occhi dei visitatori, a partire da questo weekend torna pienamente fruibile al grande pubblico. Si tratta della Casa degli Amorini Dorati che riapre dopo l'ultimo restauro durato due anni e riacquista lo stesso splendore che ebbe all'inizio del Novecento, quando gli interventi di scavo coordinati da Antonio Sogliano la riportarono alla luce.

L'intervento in questione non rientra nel Grande progetto Pompei da 105 milioni ancora in fase di avvio, ma in un certo senso rappresenta un assaggio di ciò che – risorse permettendo – si può fare ai piedi del Vesuvio per la tutela dell'area archeologica più famosa del mondo. Tra il 2012 e il 2013 la Casa degli Amorini Dorati è stata interessata da un restauro che ha riguardato intonaci, pavimenti con decorazioni musive e giardini, finanziato dalla Soprintendenza con 248mila euro di fondi ordinari.

La stessa domus, tra il 2002 e il 2003, aveva subito un precedente intervento per il consolidamento di strutture, soffitti e solai del valore di 420mila euro sempre provenienti dai fondi ordinari. A cavallo tra le due fasi di restauro la Casa veniva aperta al pubblico soltanto su prenotazione, così da contingentare i flussi. Gli ultimi interventi inseriscono a tutti gli effetti la villa tra le tappe imprescindibili di un tour a Pompei. «Non è certo la domus più grande e famosa del sito, - spiega la direttrice degli scavi Grete Stefani – ma la ricchezza e la raffinatezza delle decorazioni la rendono di notevole interesse per studiosi e visitatori».

Il frutto di una «fusione» di immobili
Una storia curiosa, quella della Casa degli Amorini Dorati. La domus, estesa su un'area di 800 metri quadri, è considerata una casa di media grandezza in rapporto ai canoni di Pompei. Nasce dalla fusione di due precedenti unità immobiliari del III e del II secolo a.C., affacciate su via del Vesuvio e il vicolo dei Vettii, sul lato meridionale dell'insula 16 della regione VI. L'unificazione avvenne nel I secolo a.C. «Tra le particolarità della Casa, – continua la direttrice Stefani – il fatto che al suo interno contempli tutti e quattro gli stili pittorici pompeiani». La casa deve il nome ad alcuni dischi di vetro con foglia d'oro in cui era incisa la figura di un Amorino a decorazione della stanza da letto matrimoniale del proprietario, di cui resta in sito uno solo degli esemplari.

Gli affreschi principali risalgono al cosiddetto Terzo stile pompeiano e illustrano alcuni episodi della mitologia greca. Danneggiati dal terremoto del 62 d.C., alcuni di essi vennero restaurati «in stile», dato che dimostra l'interesse quasi antiquario del proprietario per la conservazione dei capolavori che ornavano la sua dimora. Molto significativi i due luoghi sacri della casa: un larario con colonnine in marmo in cui si rinvennero le statuette di Giove, Giunone e Minerva, Mercurio e dei due Lari, ora conservate al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, un larario dipinto con le raffigurazioni delle divinità egizie Iside, Serapide, Arpocrate e Anubi e di vari strumenti di questo particolare culto che aveva a Pompei molti seguaci.

Il «verde» pompeiano
I lavori di restauro, diretti da Carmela Mazza, hanno interessato il rifacimento delle coperture, la pulitura e il consolidamento delle pitture parietali che presentavano gravi distacchi dal paramento murario e problemi derivanti dall'umidità, il consolidamento delle cornici in stucco di Primo stile conservate in alcuni ambienti, la pulitura e il consolidamento dei pavimenti a mosaico e in cocciopesto. Infine è stato ripristinato il giardino al centro del peristilio e un piccolo giardinetto interno, tenendo in considerazione i dati di scavo e riproponendo la sistemazione a verde realizzata a seguito della prima campagna di rinvenimento, datata 1903-1905. Una suggestiva oasi di verde nel cuore della casa.

Furti antichi e moderni
Una curiosità: la casa, travolta dall'eruzione vesuviana del 79 d.C., fu «visitata» sin dall'antichità. Lo dimostrano tracce di furti e rimozioni di decorazioni individuate dagli studiosi in più punti della struttura. Una pratica, purtroppo, dura a morire: nel 1978 alla domus fu sottratta una maschera decorativa che faceva bella mostra di sé sul peristilio. L'opera è stata di recente individuata sul mercato antiquario, con tutte le segnalazioni del caso da parte della Soprintendenza. La speranza è che torni presto «a casa».

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