Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2013 alle ore 08:47.

My24

A Wimbledon, il peso della storia sembra tale da far dimenticare che, nel vetusto All England Club nei sobborghi middle-class di Londra, si gioca un torneo di tennis. La statua di Fred Perry, l'ultimo inglese ad aver vinto, addirittura nel 1936, è venerata all'ingresso. Sulle scale del centro stampa campeggiano le gigantografie, in pose plastiche, dei campioni del passato. I riti della queue, la fila notturna per spuntare un biglietto, della pioggia, delle fragole con panna, delle premiazioni condotte dal Duca e dalla Duchessa di Kent dopo una chiacchierata con i raccattapalle (immancabile la stretta di mano se ce n'è uno di colore), si ripetono immutabili.
Gli inglesi puntano, e lucrano, sulla tradizione come nessuno. Il torneo l'anno scorso ha fruttato un utile di 37 milioni di sterline (destinati alla vana ricerca e formazione di un campione locale) e si è trasformato in realtà in un business ben oliato, soprattutto dagli introiti televisivi. Tanto che le esigenze della tv hanno imposto sul Centre Court un tetto rettrattile che consenta di giocare anche quando piove. Un orrore per i tradizionalisti, un'incognita per i giocatori che rischiano di veder trasformati pezzi del torneo in una competizione indoor, in condizioni ben diverse da quelle normali.
Alla fine, però, quel che conta è solo il tennis. La statua di Fred Perry è lì per dirci che forse finalmente quest'anno un britannico (beh, non proprio un inglese, visto che viene dalla scozzese Dunblane), Andy Murray, può finalmente prendersi il trofeo dalle mani del Duca di Kent. In fondo, Murray è arrivato a un passo lo scorso anno, perdendo in finale con Roger Federer, e poi ha battuto lo svizzero sullo stesso campo alle Olimpiadi di Londra, e ha spezzato il tabù del Grande Slam allo Us Open. Murray può farcela, la settimana scorsa ha vinto il riscaldamento al Queen's e sarà spinto da un intero Paese. Resta da vedere se conterà più il tifo o il peso delle aspettative. Federer, che di Wimbledon ne ha già vinti sette, è al crepuscolo della sua carriera: ma l'altra settimana ha vinto nel gioiellino di Gerry Weber a Halle, in Germania, e ha ancora la possibilità di superare il record di Pete Sampras. Ma come scontare le possibilità di Novak Djokovic o di Rafael Nadal, anche se, per assurdo, l'impossibilità di risistemare, come nel passato, la lista dei favoriti secondo la loro attitudine all'erba, rischia di proiettare il maiorchino, oggi numero 5 causa lungo infortunio, contro uno dei altri tre Fab Four già nei quarti di finale (essendosi insinuato al numero 4 del ranking il povero David Ferrer, che con i prati proprio non ci azzecca). Si dovrebbe dire delle "Ladies", ma non si capisce proprio come qualcuno possa colmare l'abisso fra Serena Williams e il resto del tennis femminile. Due italiane sono fra le prime 11: più che su Sara Errani, il cui servizio la rende inadatta alla superficie, si dovrà sperare in Roberta Vinci e le sue doti di doppista applicate al singolo, o nelle due in coppia.
Per una fortunata coincidenza, esce alla vigila del "più importante torneo al mondo", un bel libro di Gianni Clerici, che sarebbe un'offesa definire una raccolta di articoli. Quello di Clerici è un libro di storia, ma non la storia di Wimbledon, piuttosto della Wimbledon di Clerici (e infatti copre sessant'anni, non gli oltre cento della vicenda dei Championships), con aneddoti, vicende umane, commenti tecnici, conditi con buone dosi di ironia e autoironia. Nomi che molti avranno dimenticato, Maureen Connolly, tiranneggiata dalla mamma e dall'allenatrice non meno che André Agassi e Steffi Graf dai papà, Rod Laver depredato di molti titoli dall'esclusione dei pro fino all'era del tennis "open" nel 1968, il gentleman nero Arthur Ashe, l'Orso Borg che cambiò il modo di giocare sull'erba, il folle John McEnroe che disputò con lui «il tie break più noto della storia». E tutti i campioni di oggi (mai confrontarli a quelli di ieri alla ricerca del più grande di tutti i tempi, intima Clerici).
Tutto molto godibile per l'aficionado. Ma forse non tanto come il gustoso prologo della gioventù dorata di Giovannino Clerici, fra Lord Hanbury e la prima gita a Wimbledon a otto anni. Il ritorno all'All England Club (su una Fiat 500, nientemeno) come sfortunato giocatore. Poi le glorie del giornalismo e della letteratura, l'amicizia con Giorgio Bassani, gli elogi di Italo Calvino, la Tennis Hall of Fame. Senza mai dimenticare la frase di Kipling all'ingresso del Centre Court dagli spogliatoi: «Che tu possa incontrare il trionfo e il disastro e fronteggiare quei due impostori allo stesso modo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Wimbledon, The Championships. All England Lawn Tennis and Croquet Club, dal 24 giugno al 7 luglio
Gianni Clerici, Wimbledon. Sessant'anni di storia del più importante torneo del mondo, Mondadori, Milano, pagg. 706, € 22,00

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi