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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2013 alle ore 08:48.

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Twynam non è un orticultore, né un botanico, né un erborista, e il suo modo di crescere e curare le piante ha poco a che fare con la scienza. È un orante, che passa una parte del suo tempo a pregare per l'erba. Così John McPhee su un singolare personaggio da lui incontrato nella primavera del 1968, mentre scriveva, per il «New Yorker» di Wallace Shawn, della semifinale a Forest Hills tra Arthur Ashe e Clark Graebner: lo scontro tra due diverse americhe, nera e liberal l'una, bianca repubblicana e privilegiata l'altra. Visto tanto interesse per il tennis, gli avevano proposto di indagarne, a Wimbledon, l'altra faccia: il prato. Quando McPhee lo conobbe, Robert Twynam viveva da quarantaquattro anni in intimità con ogni zolla, estirpando al primo apparire i volontari, ovvero le erbacce nel gergo del Centrale di Wimbledon, quartiere a sudest di Londra sede dello All England Lawn Tennis and Croquet Club. Il prato ideale da tennis deve essere compatto, lucido, elastico. Grazie a un lavoro certosino, il Centrale raggiunge una perfezione tale che a dargli un buffetto risuona un'eco come di fucilata.
A primavera, stagione di massima crescita, quando ogni filo d'erba aspira a fiorire, andare a seme e moltiplicare la sua discendenza, il cilindro manuale a dieci lame Ransome Certes lavora quotidianamente, in modo da mantenere il tappeto a un'altezza di circa mezzo centimetro. A inizio stagione taglia in diagonale, a metà in orizzontale, alla vigilia del torneo in verticale, fino a ottenere l'aspetto di un enorme tessuto di lino a strisce alterne verde chiaro e verde scuro. Si applica poi il rullo. Non dovrebbe, secondo il canone, superare il quintale, ma qui pesa circa una tonnellata e scorre tutti i giorni. Si potrebbe anche farne a meno, a metà giugno il campo sarebbe anche a posto così, spiega Twynam, però il rullo dà una bella luce allo strato superiore dell'erba. Come una bella strofinata a un buon paio di scarpe inglesi. Fondamentale l'elasticità. Twynam di anno in anno individua la miscela ideale; festuca olandese all'80% e per il resto browntop dell'Oregon. Non gli interessa il colore, non gli piace il concetto di velluto verde: se un campo è vivo e sano può essere di qualsiasi tinta, marrone incluso.
Idiosincratico il criterio per valutare i giocatori: non lo preoccupano il tocco o la potenza, ma gli strusci, i pattini, le zappe. Ovvero il tipo di danno inferto al Centrale da punte di scarpa confitte nell'erba e poi trascinate, suole che slittano, racchette usate alla stregua di asce. Alcuni, soprattutto tra gli stranieri, sono autentici flagelli, lasciano buchi che Twynam corre a riparare con una miscela di argilla ed erba tagliata, oppure risistemando una zolla spostata ricucendola con un reticolo di bastoncini da fiammifero. Va da sé che Twynam tifa per quelli che trattano con più riguardo la sua creatura. Predilette le donne: non sciupano, con rarissime eccezioni, la moquette vegetale. Non si può non restare affascinati da questo sacerdote di una religione al tramonto, incentrata sul più desueto dei feticci.
Perché nello stesso anno in cui McPhee traccia il ritratto immortale di Twynam, Gilles Clément accende la miccia della ribellione contro il pedante culto in nome del quale suo padre sterminava le talpe a colpi di fucile. Ed eccolo inventare giardini dove ogni cosa che palpita e striscia e vorrebbe levarsi alta verso il cielo è lasciata libera di dettare le regole del gioco. Quelle che a Wimbledon venivano irrise come volontarie adesso vengono elogiate come intraprendenti vagabonde. Clément vuole accoglierle tutte, prima di tutto imparando il nome di ciascuna, perché ciò che non ha nome non esiste. Non gli interessa l'erba, il verde, ma le erbe in tutta la loro molteplicità di forme e colori. Il gittaione comune cacciato insieme a fiordalisi, nigelle e papaveri dai campi di grano, disprezzate dal coltivatore per il quale la terra non è un immenso giardino ma un supporto di raccolta. Il tasso barbasso, rosette di foglie pelose il primo anno che bisogna fare attenzione a non tagliare per sbaglio così che possa erigersi, al secondo anno di vita, in tutta la sua splendida altezza fiorita. La panace di Mantegazza, scoperta dietro il negozio di pentolame di una signora con lo chignon e la voce arrochita dal tabacco. Incredibile pianta capace di formare e deformare lo spazio con la sua mole, questo Heracleum, l'ombrellifera più grande e più bella mai vista, fu scoperto a fine Ottocento da due botanici francesi sul monte Elbruz, in Abcasia, e da loro dedicato all'amico Paolo Mantegazza. Si è rivelata una conquistatrice capace di acclimatarsi ovunque trovi abbastanza umido e fresco.
Un pericolo, un'invasione? Clément ha orrore della fitoxenofobia: nell'ailanto, il più versatile degli alberi, vede un alleato che prepara il terreno a chi verrà dopo. Come ha spiegato alla lezione tenuta al Collège de France nel dicembre del 2011, il giardiniere di domani non è un giustiziere, conta piuttosto sulle leggi della biologia per comprenderle e assecondarle.
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John McPhee, Tennis, Adelphi, Milano, pagg. 222, € 15,00;
Gilles Clément, Elogio delle vagabonde, DeriveApprodi, Roma, pagg. 148,
€ 15,00;
Gilles Clément, Giardini paesaggio e genio naturale, Quodlibet, Macerata, pagg. 60, € 8,50

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