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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2013 alle ore 07:36.

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Osservare perplessi un menu particolarmente ostico, magari all'estero; spostare lo sguardo da una pagina all'altra senza essere attirati da nulla; attendere sconsolati l'arrivo del cameriere e trovarsi costretti ad andare sul sicuro ordinando l'unico piatto presente dappertutto: la bistecca. Già questo basterebbe per esserle grati. La bistecca è un porto sicuro, non tradisce. Ma ci sono ragioni più nobili e importanti per volerle bene, anche se siete vegetariani. Qualche tempo fa un importante critico gastronomico britannico, A.A. Gill, ha scritto su Vanity Fair che la bistecca è un simbolo della superiorità occidentale: «Ha il sapore del libero mercato e del capitalismo, del consumismo, della modernità e dell'ascesa della classe media». Sembra una provocazione – "provocazione" è ormai l'alternativa diplomatica alla parola "cazzata" – e d'altra parte Gill è un personaggio piuttosto controverso: per dire, è uno che una volta ha sparato a un babbuino per divertimento, e poi ci ha scritto un articolo.

Però sulla bistecca ha ragione, e per averne conferma basta fare due chiacchiere con chi ha vissuto in Italia i cambiamenti del Dopoguerra e del boom economico. Una delle cose che raccontano più spesso di quegli anni, soprattutto a figli e nipoti che la trovano lunare, riguarda proprio il consumo di carne: la famiglia media italiana passò nel giro di pochi lustri dal mangiarla quasi mai fino al mangiarla almeno una volta alla settimana, spesso di più. Mangiare la carne con assiduità fu possibile grazie al crescente benessere, cioè grazie allo sviluppo economico, cioè grazie all'ascesa della classe media: cioè grazie alla democrazia e alla libertà, quindi alla vittoria dell'Occidente.

L'attuale lenta ma costante diffusione del vegetarianismo in Europa e negli Stati Uniti non mette in discussione la tesi di Gill: soltanto la grande disponibilità di carne, infatti, rende possibile la scelta "etica" del rinunciarvi. Le famiglie italiane degli anni Trenta mangiavano pochissima carne ma non erano vegetariane: erano povere. È per questa ragione che si consuma sempre più carne, anno dopo anno, anche nei Paesi emergenti: soprattutto in Cina ma anche in posti come l'India, il Brasile o il Messico. C'entrano i grandi cambiamenti demografici, certo, ma c'entra soprattutto la prosperità: più soldi, più classe media, più benessere, più bistecche. Da qui al 2020 i Paesi considerati "in via di sviluppo" consumeranno il 63 per cento di tutta la carne che si mangerà nel mondo.

Questo metterà alla prova un sistema industriale che ha già raggiunto livelli di meccanicità estrema e brutale – una statistica che sarebbe interessante leggere: quanti sono diventati vegetariani dopo aver letto Se niente importa di Jonathan Safran Foer? – ma riguardo la quale all'orizzonte si vede già una possibile soluzione. All'inizio di maggio il direttore di un laboratorio di ricerca olandese ha annunciato la creazione del primo hamburger in vitro. I ricercatori hanno preso frammenti di tessuto animale, li hanno fatti "crescere" in laboratorio usando del siero fetale bovino e li hanno trasformati in carne. Carne creata senza uccidere nessun animale. Costosissima, ovviamente, d'altra parte siamo ancora all'inizio: ma sappiamo che ci arriveremo. E sarà un'altra vittoria della società occidentale: un'altra vittoria della bistecca.

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