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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2013 alle ore 08:41.

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La grande bellezza abita qui. Negli sguardi di Anna Magnani, nell'implorazione di Aldo Fabrizi, nel l'impianto corale di un film che fece «riguadagnare all'Italia quella nobiltà che aveva perso sotto Mussolini», come scrisse «Life Magazine».
Con Roma città aperta Roberto Rossellini creò qualcosa di molto, molto più grande di quanto lui stesso non avesse pensato: un'opera-specchio, un evento fondativo, una visione capace di riscattare colpe ed errori del passato. Anche le sue colpe, anche i suoi errori: quelli di un uomo che aveva creduto nel fascismo, che dalla collaborazione con Vittorio Mussolini, il figlio cinefilo del duce, aveva ricavato una posizione di primo piano nella macchina propagandistica del regime. Facile accusarlo di avere voltato gabbana; facile vedere nel suo repentino cambio di fronte il riflesso dei tanti saliti all'ultimo momento sui carri dei vincitori.
E allora ci voleva qualcosa che fugasse ogni sospetto; qualcosa talmente al di sopra di un film "normale" da far gridare al miracolo, al riscatto, alla palingenesi, personale e collettiva. Roma città aperta fu questo miracolo anche se, quando venne proiettato la prima volta il 24 settembre 1945 al Cinema Quirino della Capitale, ben pochi (nessuno?) se ne accorsero: «Erano le sette di sera – ha ricordato qualche tempo fa Francesco Maselli – avevamo già visto diversi capolavori, non avevamo altro in testa che di andarci a fare una pizza…».
Poi, come un'onda che cresce, venne lo stupore. Ma come? Mentre tutti si arrabattavano per sbarcare il lunario, mentre la guerra in mezza Italia non era ancora finita, mentre era difficile mettere insieme il pranzo con la cena, quell'uomo (e insieme a lui, fra gli altri, il giovane Federico Fellini) si era messo a girare per le strade di una città in convalescenza, ancora in vita, sì, ma piagata e piegata dal rimorso e dal dolore. Senza un soldo, contrattando con produttori improvvisati, rimettendo insieme briciola dopo briciola un mondo, quello del cinema, che si era disperso per l'Italia, chi con Salò e chi dall'altra parte, facendo necessariamente a meno di Cinecittà, ridotta a un cumulo di macerie.
Come si sviluppò quell'impresa, etica prima ancora che estetica? Come si concretizzò quella rivoluzione, destinata a cambiare la storia del cinema? Tanti studi, a partire da quelli imprescindibili di Stefano Roncoroni (La storia di Roma città aperta, Le Mani, 2006) hanno ricostruito tutta la vicenda; Carlo Lizzani ci ha fatto un film, Celluloide, mostrando le vicissitudini, spesso drammatiche ma a volte anche comiche, di quel gruppo di pazzi che si mettono a girare in film mendicando spezzoni di pellicola, rubando la corrente elettrica, girando non nei teatri di posa ma per le strade. Con attori celebri certo (due colpi di genio fra i tanti: Fabrizi portato di peso dalla commedia alla tragedia; i due eroi, lo stesso Fabrizi e la Magnani che, contrariamente a tutte le aspettative, finiscono uccisi, la Magnani addirittura molto prima della fine del film) ma anche con una gran massa di volti nuovi, popolani che irrompono sul grande schermo.
Di Roma città aperta si continua a parlare, al di là del mito, portando ogni volta nuovi frammenti di verità, nuove prove sulla sua incredibile avventura produttiva. Ora è la volta di Bologna, che presenta un "aggiornamento" del restauro del 2007, quando ci fu la conferma, derivata da un precedente rinvenimento di un negativo ritenuto perduto, che Rossellini aveva lavorato, come leggenda voleva, con pezzi di pellicola di diversa provenienza, "frattaglie" fortunosamente reperite in vari luoghi della Capitale.
Questo restauro ulteriore con uno standard digitale di qualità ancora più elevata (4k anziché 2k), a cura della Cineteca di Bologna, della Cineteca Nazionale e di Cinecittà Luce, verrà proiettato martedì 3 luglio in Piazza Maggiore, preceduto da una "lezione" di Jean Douchet ed Emiliano Morreale, e seguito il 4 luglio da un incontro sui restauri del film con Gian Luca Farinelli, Davide Pozzi, Sergio Toffetti e Franca Farina.
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