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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2013 alle ore 16:52.

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Film «The Lone Ranger»Film «The Lone Ranger»

L'estate svuota i magazzini dalle pellicole indesiderate. Almeno in Italia, dal momento che i blockbuster americani non temono il solleone. A volte, però, non è una questione di qualità ma di scarsa fortuna. Nella decina di uscite di questa settimana, allora, vi proponiamo la nuova fatica di Verbinski e Johnny Depp dopo la saga dei Pirati dei Caraibi, un buon film italiano girato l'anno scorso e che arriva solo ora (immeritatamente), l'ultima opera di uno dei più grandi cineasti della storia e la nuova fatica di Judd Apatow. Un poker che esclude tutti gli altri, una selezione obbligatoria per muoversi nei meandri di una distribuzione anche più caotica del solito.

Non ci sentiamo di consigliarvi The Lone Ranger, che dei Pirati dei Caraibi non ha l'agilità e la sfacciataggine e della serie tv da cui è tratto non ha recuperato la cialtronesca leggerezza. Nelle mani di Gore Verbinski, che ci aveva (ri)conquistato con Rango, questo western improbabile, con un avvocato che ama cavalcare disarmato nel selvaggio West e un indiano un po' matto a comporre una strana coppia, risulta solo lento, sufficientemente noioso e raffazzonato. Quello che sul piccolo schermo funzionava – la reiterazione del solito schema, la semplificazione di storie e caratterizzazioni -, sul grande soffre di un appiattimento e di una compressione della trama davvero poco efficace. Johnny Depp, ormai sempre più clown triste e surreale, continua a giocare di mestiere, convinto che basti la sua icona, i suoi occhi e il suo nome a fare un film. E il suo compare Armie Hammer non lo aiuta: ha meno carisma del suo cappello.

Non va meglio con il genio Terrence Malick. Sulla scia di The Tree of Life, continua il suo viaggio nelle emozioni umane più profonde e qui sviscera, tra contemplazione e una poetica rarefatta, il sentimento dell'amore. Con tutta la buona volontà, però, To the Wonder rimane un film incompleto e incompiuto, in cui il grande cineasta si perde in immagini effettivamente bellissime senza però scuoterci mai. Un esercizio di stile in cui le (poche) parole a volte rasentano il ridicolo (involontariamente, ovvio) e in cui le scene non ti entrano mai dentro, vittime di uno sguardo sensibile ma velleitario e distaccato. Ben Affleck e Olga Kurylenko mettono al suo servizio la loro pur splendida inespressività, Rachel McAdams viene soffocata da un ruolo bidimensionale, fa una buona figura – nonostante la battuta improbabile che la sceneggiatura gli consegna – Romina Mondello. Il punto è che però Malick sembra, ormai, sempre più disinteressato a raccontare e sempre più ossessionato dal mostrare. Una voglia che lo incatena ai binari della prevedibilità e della fatica (dello spettatore) che subisce, più che apprezzare, i suoi pur straordinari virtuosismi, spesso colpevolmente reiterati. Un tempo questo regista sapeva meravigliarci e sconvolgerci, ora si produce solo in esercizi di (grande) stile.

Di sicuro uno che non cerca quest'ultimi è Judd Apatow. Regista e produttore che ha costruito un gruppo straordinario di cui la punta di diamante è Adam Sandler e che, di fatto, tiene in piedi da solo il comparto della commedia arguta e cattivella a stelle e strisce, qui si regala uno spin-off (o come lo chiama lui "una specie di sequel") di Molto incinta. E dentro ci mette l'amico e attore feticcio Paul Rudd e la compagnia Leslie Mann, due interpreti eccellenti che in Europa colpevolmente sottovalutiamo. Come sempre ossessionato dalle questioni anagrafiche e sociali (e anche un po' sociopatiche) della maturazione e del passaggio della linea d'ombra dalla lunga postadolescenza moderna all'età adulta, qui fa uno dei suoi film migliori, regalando sorrisi e riflessioni. E persino quel suo linguaggio così americano e mai troppo amato nel Vecchio Continente si smussa oppure semplicemente si nasconde dietro la solita, ottima, sceneggiatura.

Chiudiamo con Italian Movies, favola moderna che si ambienta in uno studio per soap. Da una parte una troupe indolente e arrogante di italiani, dall'altra, di notte, un'impresa di pulizie multietnica che dalle briciole della realtà drogata di quel mondo di improbabili lustrini costruisce i suoi sogni.

Matteo Pellegrini si regala un racconto semplice e delicato in cui il nostro mondo viene raccontato attraverso una fiaba urbana che, pur con le sue ingenuità, si fa voler bene, anche grazie agli ottimi attori di questa (malin)commedia corale e riuscita: Guskov, Ebouaney, Venitucci e Kravos su tutti. Questa è l'Italia attuale, bellezza.

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