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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2013 alle ore 21:59.

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David Knopfler: «La reunion dei Dire Straits? Riparliamone a 70 anni»

Una reunion della formazione originaria dei Dire Straits? «Non si può escludere». Un ritorno in grande stile della band che alla fine degli anni Settanta fece girare la testa al mondo con il raffinatissimo riff di «Sultans of Swing»? «Le operazioni nostalgia non mi interessano: il mondo va avanti, la musica pure. Se da qualcuno prima o poi arriverà la proposta, però toccherà valutarla». Lascia aperto uno spiraglio a quella remota possibilità che farebbe felici i fan da un capo all'altro del pianeta David Knopfler, chitarrista ritmico e fratello minore di quel Mark che, fascia in fronte e Stratocaster in mano, ha posto un'impronta inconfondibile sull'approccio rock alla sei corde.
Ha fondato i Dire Straits, ci ha inciso due dischi e li ha lasciati mentre erano alle prese con le session del leggendario «Making Movies». Adesso è un signore di sessant'anni con alle spalle una carriera solista da dieci dischi, qualche raccolta di vers e il pungente libro «Bluffer's Guide to the Rock Music Busines» nel curriculum. A distanza di vent'anni dall'ultima esibizione italiana torna nello Stivale per un tour che lo porterà al Ravello Festival (6 luglio), a Roma (10), Calvello (11), Reggio Calabria (13) e Marsala (14) con al proprio fianco Martin Ditcham alla batteria, Pete Shaw al basso, Bub Roberts alle chitarre. Porta con sé «una grande curiosità per come il pubblico italiano potrà reagire» e soprattutto «nessun rimpianto» per il passato.

Mr. Knopfler, lei dovrebbe conoscere piuttosto bene il nostro pubblico: negli anni Ottanta, agli inizi della sua carriera solista, ha suonato anche a Sanremo, nel sancta sanctorum della'italica canzonetta, come ospite internazionale. Come pensa che la accoglieranno?
Non ne ho la più pallida idea. Le cose sono parecchio cambiate da allora. Quello che so è che abbiamo messo in piedi uno spettacolo interessante: ho una buona band, un buon promoter, tanti pezzi da suonare e stiamo viaggiando a tutta velocità per arrivare puntuali.

Sarà un concerto elettrico o «Acoustic» come il suo disco del 2011?
Entrambe le cose. Mi porto sempre dietro la chitarra acustica, valutiamo al momento quali pezzi fare. Dipende molto dal contesto, dall'aria che tira ma di solito facciamo un set elettrico e uno acustico.

Nelle scalette dei suoi concerti ci sono pezzi della sua carriera solista, ma anche classici del primo repertorio dei Dire Straits come «Sultans of Swing» e «Where do you think you're going». Lei ha lasciato la band dopo i primi due album, alla vigilia del clamoroso successo che ebbe negli anni Ottanta. Sono più i rimpianti o i bei ricordi?
Non mi piace parlare di rimpianti e di bei ricordi. Rimpianti non ne ho: nel corso della mia carriera ho preso le mie decisioni in libertà e coerenza. Per quanto riguarda i bei ricordi sono roba da nostalgici: bisogna saper voltare pagina. Certo, ogni tanto a tutti capita di ripensare alla fidanzata dei propri 25 anni. Solo che nel mio caso questa fidanzata si chiama Dire Straits. Per completare il discorso, è difficile che in un mio concerto suoni più di un paio di canzoni dei Dire Straits. Non mi piacciono le operazioni nostalgia.

Parliamo di lei come musicista. Suona la chitarra ritmica: un certo Keith Richards una volta disse che la chitarra ritmica è il cuore pulsante di una rock and roll band. Condivide questo punto di vista?
Assolutamente sì (ride ndr). Ti diverti parecchio a suonarla mentre la band ti gira intorno. Suono molto anche il piano però. Non saprei dire cosa mi diverte di più: dipende dalla canzone, a volte anche dal genere con cui ti cimenti.

Come scrittore ha avuto un discreto successo. Ciò che scrive ha influenza sul suo modo di scrivere canzoni?
All'età che ho mi sento soprattutto scrittore. Ho cominciato con la musica, la parola scritta è stata un po' un punto di arrivo, ma le mie canzoni nel frattempo sono molto migliorate. Si può dire che non ho mai scritto come adesso.

Lei e suo fratello Mark siete nati a Glasgow, città che oggi esprime una delle scene rock più interessanti, con band come Belle and Sebastian e Franz Ferdinand. Le ascolta?
Confesso di no. Continuo ad ascoltare la musica degli anni Sessanta su cui mi sono formato. Trovo che internet e più in generale la tecnologia abbiano complicato fin troppo il music business.

È realistico pensare a una reunion della line-up originaria dei Dire Straits?
Non si può escludere. L'ho già detto: sono contrario alle operazioni nostalgia. Eppure se arrivasse una proposta, da parte di mio fratello o non so da chi, la prenderei in considerazione.

La soglia dei sessanta l'avete toccata da poco: forse siete ancora tutto sommato giovani per una reunion.
Già (ride, ndr), riparliamone a settant'anni.

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