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Questo articolo è stato pubblicato il 07 luglio 2013 alle ore 08:38.

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Fra i festival estivi, Inequilibrio di Castiglioncello è di sicuro il più simile a un laboratorio di idee, a un cantiere di tendenze e linee di ricerca. Più che ad assistere a produzioni compiute, qui si viene ad annusare dei percorsi in fieri, dei segnali di fenomeni in atto. Nelle serate d'apertura dell'edizione di quest'anno – complice forse la crisi economica, che limita la libertà delle scelte artistiche – non mi è parso di cogliere dei particolari fermenti innovativi. Il primo fine-settimana è stato però caratterizzato da una serie di sorprendenti prove attorali.
La più impressionante è quella offerta dal bravissimo Leonardo Capuano, che col suo Elettrocardiodramma trascina gli spettatori in uno straordinario viaggio nel delirio: vestito con un dimesso abito da donna, scarpe nere maschili, corti calzerotti blu, l'anonimo personaggio da lui creato chiede al dottore un medicinale in grado di far sparire lo stato confusionale, evoca una madre in contatto con gli spiriti, rivendica un'improbabile amicizia con Fernando Alonso.
In questa sorta di vaneggiamento ondivago, costruito in realtà con rigore maniacale, Capuano sfiora storie di ordinaria solitudine, coppie insicure, labili rapporti famigliari. Ma a colpire è soprattutto il suo incredibile lavoro interpretativo, una partitura di balbuzie, gesti nervosi, sguardi ammiccanti, mentre la voce evoca toni di pacato buon senso applicati ad argomenti del tutto dissennati. Sembra una figura di Thomas Bernhard. E puramente bernhardiana è la battuta finale, «perché sono vestito da donna? Non lo so. Mi sono svegliato così».
La qualità della recitazione è anche al centro di Tu, eri me, il delicato approdo di un'indagine condotta dalla compagnia Faloppa/Batignani/Tintinelli nelle case di riposo per artisti: è un "montaggio" di testimonianze raccolte in un unico racconto, quello di un'anziana attrice sollecitata da due visitatori che assumono modi e stili di un teatro d'altri tempi, fra echi dannunziani e un Amleto col teschio in mano: senza nulla togliere ai suoi compagni, qui emerge specialmente il talento di Paola Tintinelli, che pur mantenendo il suo aspetto naturale tratteggia alla perfezione l'immagine di una vecchia che ha smarrito la propria vita negli specchi dei camerini.
Più formale, ma eccellente, anche la prova di Francesco Colella, che in Zigulì – tratto dal libro di Massimiliano Verga – incarna rabbie e tenerezze del padre di un bambino handicappato. Se il Teatropersona conferma la sua cifra raffinata anche in una proposta per ragazzi, Il grande viaggio, delude invece Le presidentesse di Schwab diretto da Maurizio Lupinelli: si pensava che l'approccio di un uomo di teatro da sempre attivo nell'area del disagio potesse dare ulteriore forza a questa pièce "maledetta", tutta sproloqui mistici e ossessioni fecali: ma la sua interpretazione en travesti e la presenza di un'attrice disabile paradossalmente ne indebolivano l'impatto rispetto ad altre messinscene più tradizionali.
Restano da segnalare, a margine del festival, due curiose iniziative: Balene, asini e pialle, fantastica mostra di Roberto Abbiati, attore-artista che con materiali dei suoi spettacoli ha creato geniali composizioni dadaiste, e Cinetico 4.4 del sempre più imprevedibile Collettivo Cinetico, un gioco da tavolo che consente di inventare spiazzanti performance decidendo temi, ruoli e oggetti di scena attraverso lanci di dadi e carte da scoprire.
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