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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2013 alle ore 10:28.

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Peter Stein a Spoleto, ritorno a casa senza amore - Foto

La vittima predestinata si rivela, alla fine, la dominatrice. Ed è una donna, con ruolo di cognata e nuora degli uomini di casa. Che li asservirà a sé. È questo il finale de Il ritorno a casa di Harold Pinter, testo del '65 tra i meno frequentati del drammaturgo inglese, ora, per la prima volta, affrontato dal regista Peter Stein. Parla della carenza d'amore attraverso personaggi sgradevoli, duri e crudeli, enucleata nello scontro uomo-donna, e nella più pericolosa conflittualità maschile. E dice, più di altre pièce, quel "precipizio che sta sotto i discorsi di ogni giorno" (motivazione del premio Nobel).

La vicenda è quella di un nucleo familiare tutto maschile rimasto orfano di donne dopo la scomparsa di una madre che, nel ricordo ambiguo che emerge, ha lasciato tre figli maschi forse bastardi. In un interno domestico della periferia londinese, tutto ha inizio quando il docente di filosofia Teddy, primogenito di tre fratelli, dopo anni di assenza, fa ritorno alla casa paterna per una visita portando con sé la moglie Ruth che ha sposato all'insaputa dei familiari poco prima di lasciare Londra per trasferirsi in America. Il ceppo originario con cui rientra in contatto non ha nulla a che spartire con la sua indole gentile e educata. Il padre è un ex macellaio; un fratello, Lenny, si occupa, scopriremo, di affari poco raccomandabili; un altro si divide tra demolizioni e palestra di boxe; e uno zio impiegato come autista.

Una piccola comunità tutta al maschile dove l'arrivo della donna rappresenta l'elemento perturbatore. Figli e padre cominciano a corteggiarla, senza trovare resistenza e senza che il marito si lasci sconcertare più di tanto. Deliberatamente fraintesa e usata dalla famiglia, Ruth si ritroverà a soddisfare gli umori più egoisti e insensibili di questi "orchi", accettando il ruolo di consolatrice, madre e amante, fino ad abbandonare marito e figli (rimasti oltreoceano) per collettivizzarsi per la nuova "famiglia" e poi prostituirsi esigendo tanto di contratto, ma dettando le sue condizioni di donna libera. Che dominerà, infine, quel branco di esseri umani ridotti a bestie.

Storia scandalosa (che fece scalpore al debutto), ambiguamente edipica, quasi improbabile, ma teatralmente concretissima e vitale, che denuncia polemicamente la mercificazione della donna nella società borghese, e l'ipocrisia che vi sottostà. In questa vicenda di perversione con personaggi tanto inafferrabili quanto inquietanti, colti sotto un fuoco incrociato di riemersioni e rimozioni ora violente, ora grottesche, ora sordide, ora tenere, Stein ha lavorato di cesello. Sul linguaggio sferzante, sulla drammatizzazione dei silenzi, sul pieno delle pause, sulle battute di prorompente e allarmante humour per le strambe uscite dei personaggi, sulla fisicità e il realismo degli ottimi attori tutti all'altezza dei loro ruoli. Che vanno menzionati: a partire da Paolo Graziosi, il padre, Alessandro Averone, Rosario Lisma, Andrea Nicolini, i fratelli, Elia Schilton lo zio, e Arianna Scommegna, la donna-ragno. Tutto si consuma nella bella scenografia di un ampio soggiorno "english" con una scala che porta al pianerottolo superiore, e un lato verso l'esterno della casa.

"Il ritorno a casa" di Harold Pinter, traduzione Alessandra Serra, regia Peter Stein, costumi Anna Maria Heinreich, luci Roberto Innocenti. Produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Spoleto56 Festival dei 2Mondi. Al Teatro Nuovo per il Festival di Spoleto.

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