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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2013 alle ore 12:21.

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Robot e mostri giganti nello spettacolare «Pacific Rim» - Foto

Il blockbuster più atteso dell'estate arriva nelle nostre sale: «Pacific Rim», in uscita in contemporanea mondiale, si prepara a far suo il box office dei mesi più caldi dell'anno.

Diretto dal messicano Guillermo Del Toro, talentuoso regista de «La spina del diavolo» (2001) e de «Il labirinto del fauno» (2006), il film è un grande (in tutti i sensi) omaggio ai monster movies giapponesi degli anni '50 («Godzilla» di Ishiro Honda in primis) e alle serie animate nipponiche, con protagonisti robot giganteschi, come «Goldrake» o «Mazinga».

La trama, piuttosto semplice, ruota attorno allo scontro tra i Kaiju, mostri alieni di enormi dimensioni che hanno come scopo la distruzione dell'umanità, e i Jaeger, robot di pari grandezza (comandati al loro interno da due piloti) pronti a difendere la Terra dai temibili invasori.

A cinque anni di distanza da «Hellboy II: The Golden Army», Del Toro torna dietro la macchina da presa per il suo film più ambizioso e spettacolare: «Pacific Rim», nonostante gli evidenti limiti di una sceneggiatura piuttosto scontata, è un prodotto dallo straordinario impatto visivo che, anche grazie a un ottimo uso del 3d e dello spessore degli schermi IMax, lascia a bocca aperta per tutta la sua durata.

Toni nostalgici, nei confronti di un certo tipo di fantascienza ormai andato in pensione, fanno il paio con diverse sequenze divertenti, tra cui svetta la bizzarra fine in cui incappa Hannibal Chau, un grottesco mercante di organi dei Kaiju interpretato da Ron Perlman, da sempre l'attore feticcio di Guillermo Del Toro.

Un'impostazione, forzatamente, nostalgica è anche quella di «Uomini di parola» di Fisher Stevens con protagonista Al Pacino. L'attore interpreta Val, un ex criminale che, dopo aver passato gli ultimi ventotto anni della sua vita in prigione, è finalmente un uomo libero: all'uscita dal carcere trova Doc (Christopher Walken), suo vecchio amico e socio in affari. L'unico problema? Il loro boss di un tempo ha dato a Doc dodici ore per uccidere Val così da vendicare la morte del suo unico figlio.

Al suo secondo film da regista (dopo «Just a Kiss» del 2002), Fisher Stevens si dimostra ancora un principiante con la macchina da presa: «Uomini di parola» non riesce né a divertire né a intrattenere, vittima di un pessimo ritmo e di scelte narrative banali e mal scritte. Spiace dirlo ma il nome di Al Pacino è, ormai da più di qualche anno, sinonimo di bassa qualità.

Stessi punti deboli quelli di «Parental Guidnce», commedia di Andy Fickman con Billy Crystal e Bette Midler. I due, nei panni di una coppia di nonni all'antica, si ritroveranno per alcuni giorni a fare da babysitter ai tre nipotini: i loro metodi educativi, antiquati rispetto a quelli "moderni" seguiti dalla loro figlia Alice, creeranno non pochi problemi nel rapporto con i ragazzi.

Un soggetto narrativo tanto semplice ed elementare è l'emblema di una pellicola superficiale e senza alcuna pretesa. Le svariate gag comiche giocano su stereotipi assodati e ormai stantii, tanto che soltanto raramente riescono a strappare un abbozzo di sorriso.

Alte pretese sono invece quelle di «Now You See Me» di Louis Leterrier. Dopo l'epico «Scontro tra titani» (2010), il regista francese (specializzato in film d'azione hollywoodiani, poco apprezzati dalla critica) racconta un'altra battaglia: i contendenti sono una squadra dell'FBI e un team formato dai quattro più grandi illusionisti del mondo, che mettono a segno una serie di rapine in banca durante le proprie performance.

Piuttosto noioso e ridondante nei suoi quasi 120 minuti di durata, «Now You See Me» è un film che, furbescamente e senza troppo impegno, vorrebbe parlare a tutti i costi dell'attuale crisi economica cercando così di passare per un prodotto impegnato.

In realtà, le riflessioni che propone sono approssimative e poco profonde: ciò che rimane non è altro che una pellicola futile e, a tratti, persino irritante.

Nel cast si salva solo Woody Harrelson (uno dei quattro illusionisti), mentre il titolo di pecora nera va (per l'ennesima volta) all'impalpabile e mai intensa Mélanie Laurent.

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