Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2013 alle ore 14:22.

My24

Di recente, Quentin Tarantino ha detto di odiarlo, perché nel 1915, in Nascita di una nazione di Griffith, interpretava un seguace del Ku Klux Klan e per una serie di altri motivi "artistici" che dimostrano solo quanto il regista di Django Unchained sia a digiuno di cinema classico e in particolare di chi fosse Sean Aloysius O'Fearna, nato nel Maine nel 1894 da genitori irlandesi, morto in California nel 1973, quarant'anni fa. Per dirla con le sue parole: «Mi chiamo John Ford e faccio western». Frase entrata nella leggenda, che racconta chi era davvero John Ford.
Era il 22 ottobre del 1950 e a Hollywood infuriava la "caccia alle streghe" maccarthista; moltissimi cineasti erano stati accusati di simpatie comuniste e invitati a comparire davanti alla Commissione per le attività antiamericane.
Nella Screen Directors Guild (l'associazione sindacale dei registi) il potentissimo Cecil B. De Mille, fautore della delazione, cercava di far cacciare il presidente in carica, il democratico Joseph L. Makiewicz. De Mille e i suoi parlavano da ore; erano volate minacce e accuse. Fu a questo punto che John Ford, rispettatissimo dall'industria, conservatore sui generis e, come disse Mankiewicz, «animale politicamente imprevedibile», alzò la mano e disse: «Mi chiamo John Ford; faccio western. Credo che non ci sia nessuno in questa stanza che sappia meglio di Cecil B. De Mille quello che il pubblico americano vuole, e che sappia accontentarlo meglio. Ma... tu non mi piaci, C. B., e non mi piace nulla di quello che hai detto stasera. Perciò, propongo che rinnoviamo il nostro voto di fiducia a Joe, e che ce ne andiamo finalmente tutti a casa a dormire».
L'assemblea votò con John Ford e se ne andarono tutti a dormire. L'episodio è celeberrimo; gli ammiratori di Ford, i giovani contemporanei come John Huston e Nicholas Ray, che erano liberal e presenti a quell'assemblea, e i tanti registi innamorati del suo cinema, Lindsay Anderson, Jean-Luc Godard, François Truffaut, Peter Bogdanovich, Wim Wenders, Martin Scorsese, lo citano come esempio dell'integrità morale e dell'onestà intellettuale di un autore che non amava parlare del suo lavoro in termini teorici o tecnici, che si considerava semplicemente un narratore, che in oltre centocinquanta film percorse in lungo e in largo la Storia del "grande Paese", che fu forse il maggior poeta per immagini che l'America abbia avuto. Un episodio che racconta lo spirito americano al meglio, come i suoi film e come un film fordiano moderno qual è Lincoln di Spielberg, vicino non tanto al giovane Lincoln ritratto da Ford in Alba di gloria, quanto alla stringente logica politica del vecchio candidato sindaco repubblicano di L'ultimo hurrà!.
Orson Welles diceva di prediligere tra tutti i classici «John Ford, John Ford e John Ford. Un poeta e un commediante». La poesia: quella degli spazi tagliati da montagne squadrate, dalle sagome diritte di indiani lontani, dalla rincorsa della cavalleria nella pianura; quella di un ballo sulle fondamenta di una chiesa non ancora costruita o vicino al fuoco di un campo di lavoro; quella di un cactus fiorito su una tomba nel deserto o dell'abbraccio improvviso con il quale un vecchio cowboy rancoroso riconosce la nipote rapita dagli indiani.
E la commedia umana inarrestabile che attraversa leggera tutti i suoi film: poche parole ben scelte, omeriche scazzottate, travolgenti bevute, l'umorismo vitale dell'Irlanda originaria, madri, prostitute e signore decise e volitive e uomini scontrosi e dolcissimi, la tradizione narrativa che va da Twain a Steinbeck, da Thoreau a Faulkner. E, su tutto, lo scontro fondante tra prateria e giardino, tra la voglia di andare e quella di mettere radici, tra morale individuale e legge collettiva. Un West, quello di Ford, che rilegge gli eroi alla luce della vita di tutti i giorni, demitizzandone alcuni (come il colonnello Henry Fonda in Il massacro di Fort Apache, riflesso del generale Custer a Little Big Horn) e consegnandone altri alla leggenda (come l'idealista avvocato-lavapiatti James Stewart, che in realtà non uccise Liberty Valance).
Un West che poi, da Peckinpah a Leone a Eastwood, è stato ribaltato e rimesso in discussione, fino a essere dimenticato, fuori moda, "veleno al botteghino". Ma oggi, complice proprio Tarantino, ecco che il West ritorna: dopo Django Unchained e Lone Ranger di Gore Verbinski, una miriade di western in produzione, dove, in controluce, continuano a trapelare l'umanità e gli spazi sconfinati che hanno fondato la leggenda e il cinema americani.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi