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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2013 alle ore 13:04.

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Velasco Vitali e le sue città fantasma - Foto

C'è Ayutthaya: un tempo una città a misura di paradiso. Fondata nel 1350 sulle rive del fiume Chao Phraya, è stata per secoli un centro culturale, il perno politico ed economico del regno di Siam, quindi capitale del regno thailandese sin dal 1351. Dopo l'attacco birmano del 1767, fu distrutta e abbandonata e oggi solo il suo parco sopravvive, accogliendo i turisti che giungono da Bangkok. C'è Kangbashi, nella prefettura di Ordos, a nord della Cina, costruita nel 2004 al posto di un piccolo villaggio, e progettata come una "seconda Dubai" che rappresentasse la lotta dell'avanzata del deserto. Qui nonostante ci sia tanto verde e numerosi edifici acquistati dai ricchi imprenditori della zona per fini speculativi, non ci sono persone. Il governo non riesce a convincere la gente a spostarsi lì.

E poi c'è Pripjat, cittadina ucraina, costruita nel 1970 per ospitare i lavoratori e i costruttori di Cernobyl'. La sua urbanistica rappresentava un modello da seguire ed era soprannominata "città dei fiori" fino a quando il disastro nucleare del 1986 la trasformò in una terra di nessuno, divorata dalla devastazione. Una foresta rossa – a contatto con le radiazioni le foglie e gli alberi del parco si congelarono in un colore purpureo – entrata nell'immaginario collettivo come simbolo di paura e distruzione. Ed è proprio questa città, con i suoi bagliori inquietanti, che dà il titolo alla suggestiva esposizione di Velasco Vitali ospitata dalla Triennale (www.triennale.it) fino al 1 settembre.

"Foresta Rossa, 416 città fantasma nel mondo" è un viaggio cominciato anni fa dall'artista di Bellano, amato da Testori, e pronto a continuare in un erratico vagabondare alla ricerca di rovine da testimoniare. Curata dall'architetto Luca Molinari e da Francesco Clerici, l'esposizione (catalogo Skira) ha radici lontane. Era, infatti, il 2010 quando l'artista stava completando "Sbarco", un'installazione con cani di bronzo che avrebbero invaso il Duomo di Pietrasanta e più tardi il piano nobile di Palazzo Reale di Milano. Nel desiderio di attribuire a ogni cane una sua specifica identità, Vitali sceglie per ognuno di loro il nome di una città scomparsa. La ricerca dei nomi appassiona l'artista e il suo collaboratore Francesco Clerici e ben presto prende vita un progetto volto a disegnare una mappa mondiale di città ormai perdute. Il risultato di questo affascinante lavoro si traduce nella realizzazione di 21 grandi tele, ciascuna delle quali rappresenta un luogo che ha subito l'abbandono dell'uomo e la rovina del tempo.

«Pennellate dense e cariche di materia e pasta» - sottolinea Luca Molinari – «che sanno raccontare con uno sguardo diverso la metropoli e i suoi sottoprodotti, dando vita a lavori in cui amore e rassegnazione, stupore e disperazione si accompagnano alla voglia di fissare sulla carta e sulla tela le memorie di un mondo che sta cambiando troppo rapidamente sotto i nostri occhi». Accompagnano le grandi tele anche un centinaio di disegni "preparatori", tappe intermedie per dare corpo a visioni metafisiche, sognate, poeticamente astratte. «Utopie perdute, luoghi della mente» - racconta Molinari – «che fungono come moniti per non dimenticare». Una mostra che trova il suo ideale compimento anche nell'omonima installazione (sempre a cura di Luca Molinari) ospitata dall'Isola Madre, da Verbania, in Piazza Garibaldi e dai giardini del Grand Hotel Majestic, visitabile fino al 20 ottobre.

Velasco Vitali, "Foresta Rossa, 416 città fantasma nel mondo"
Triennale Milano, fino al 1 settembre - www.triennale.it
A cura di Luca Molinari e Francesco Clerici - Catalogo Skira

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