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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2013 alle ore 08:41.

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La torre di Gedimino a Vilnius continua a essere una delle mete preferite dei turisti. Salita la collina di 57 metri dietro alla cattedrale, a piedi o grazie a una funicolare, il visitatore apprezza la città ai suoi piedi, individua i campanili barocchi, i vecchi condomini squadrati di acciaio e cemento di stampo sovietico, e anche i primi grattacieli moderni. Una scritta ricorda che il luogo è stato teatro di duri scontri quando i crociati arrivarono in città per convertire i lituani pagani al cristianesimo. La parola crociati non è banale. A sette secoli di distanza, il cattolicesimo continua a essere un segno distintivo del piccolo Paese baltico.
Da settimane la scelta di organizzare una marcia dell'orgoglio omossessuale a Vilnius sta occupando le prime pagine dei giornali e le aule dei tribunali. L'iniziativa di Vladimiras Simonko, il giovane presidente della Lega omosessuale lituana, ha scatenato le proteste dell'opinione pubblica, in maggioranza contraria alla manifestazione. Imbarazzata dalla reazione popolare, l'amministrazione comunale di Vilnius vorrebbe se non ostacolare l'organizzazione del corteo, almeno deviarne il corso su una via secondaria della città, pur di evitare l'uso del viale Gedimino, la lunga arteria del centro cittadino.
Il sindaco di Vilnius è un uomo di 45 anni, imprenditore di se stesso. Da giornalista, Arturas Zuokas, ha seguito in prima persona la guerra in Irak negli anni Novanta. E oggi non esita quando necessario a usare le armi, in senso proprio. Nel 2011 ha affittato un vecchio BTR-60, un veicolo corrazzato per il trasporto truppe di produzione sovietica, con il quale ha distrutto una automobile che a Vilnius aveva avuto la malaugurata idea di occupare un parcheggio per biciclette. «La controversa relativa al corteo non riguarda l'omosessualità o la diversità sessuale – spiega –, ma come gli organizzatori stanno cavalcando la vicenda, in modo aggressivo».
Secondo Zuokas, gli organizzatori non sono sufficientemente rispettosi delle sensibilità della popolazione lituana, al 60% contraria alla marcia prevista per sabato 27 luglio. «Stanno promuovendo l'idea della tolleranza in modo troppo controverso», ribadisce il sindaco. Qualche giorno fa, una corte ha dato ragione agli organizzatori, e chiesto al comune di concedere l'autorizzazione affinché il corteo possa attraversare il centro storico della capitale lituana, piuttosto che camminare lungo le rive del fiume Neris. «È stato sancito il diritto di tutti i cittadini di Vilnius a usare il viale Gedimino», ha dichiarato Simonko. La città ha deciso di fare appello.
A differenza dei suoi vicini baltici, Estonia e Lettonia che sono protestanti, la Lituania è cattolica da quando, nel 1386, il granduca di Lituania Jogaila sposò la principessa di Polonia Edvige, favorendo la nascita di una unione polacca-lituana. Come una fisarmonica, il Paese è stato di volta in volta diviso tra la Polonia, la Russia e la Germania, attraversato da Est a Ovest, e da Ovest a Est. Stendhal, che accompagna Napoleone nella campagna di Russia, si ferma a Vilnius nel dicembre 1812 con l'esercito francese. Dalla città scriverà alla sorella una lettera in cui racconterà di avere perso tutto durante la drammatica ritirata delle truppe napoleoniche.
In un'Europa sempre multiforme per come affronta i grandi cambiamenti sociali, la Lituania appare curiosamente più vicina all'Italia (o alla Russia) che alla Francia. L'unione con la Polonia ha lasciato in eredità tra le altre cose l'articolo 38 della Costituzione: «Il matrimonio è basato sul libero consenso di un uomo e di una donna». Riferendosi al corteo gay, il comune ha parlato «dell'alta probabilità di incidenti e di minacce alla tranquillità pubblica, alla sicurezza morale». Già nel 2010, i gay lituani avevano manifestato a Vilnius, ma tra poliziotti in assetto di guerra e le proteste di molti oppositori.
Secondo un rapporto pubblicato in maggio dall'Agenzia dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il 61% delle persone interpellate in Lituania si è sentito discriminato negli ultimi 12 mesi a causa del suo orientamento sessuale. La media europea è del 47%, la percentuale in Italia del 54, in Francia del 41. Tra i Paesi europei, quelli dell'Est sono in cima alla classifica, in particolare la Polonia e l'Ungheria. «Chi è contrario al corteo è contrario alla manifestazione pubblica della propria vita intima, che sia omosessuale o eterosessuale», spiega Valentinas Mazuronis, il 59enne ministro dell'Ambiente nel governo di centro sinistra.
Da anni ormai la Lituania è oggetto di pressioni perché fughi qualsiasi dubbio di discriminazione nei confronti degli omosessuali. Le trattative che hanno portato nel 2004 all'ingresso del piccolo Paese baltico nell'Unione hanno riguardato anche l'aspetto sorprendente dei diritti fondamentali. Sorprendente perché la Lituania – insieme all'Estonia e alla Lettonia – ha lottato con accanimento per strappare l'indipendenza dall'Unione Sovietica. Nel 1989, due milioni di persone organizzarono una memorabile catena umana di oltre 600 chilometri tra Vilnius, Riga e Tallin per ricordare il patto Molotov-Ribentropp.
Sia il sindaco Zuokas che il ministro Mazuronis imputano l'atteggiamento della maggioranza dei lituani alle radici cattoliche del Paese baltico, più che al passato sovietico, anche se notano che l'omosessualità è stata depenalizzata solo nel 1993, dopo l'indipendenza da Mosca. Il partito che rappresenta la minoranza polacca ha appena presentato un disegno di legge che limiterebbe l'aborto solo nel caso di violenza sessuale. Nel contempo, una cinquantina di deputati ha appoggiato l'iniziativa di Petras Grazulis, che vuole punire qualsiasi promozione dell'omosessualità. Nei due casi, la Lituania – paradossalmente – imita il (temuto) vicino russo.

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