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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2013 alle ore 15:20.

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Molte belle parole sono state dette e scritte in questi giorni sul mio amico Vincenzo Cerami, che ci ha lasciato senza fare in tempo a ultimare il suo nuovo romanzo. Varie volte Cerami ed io ci siamo trovati insieme a considerare che la circostanza dell' «elogio funebre» non è forse il tempo più adatto per fare il bilancio dell'opera di un artista. Verrà presto il tempo di parlare dell'opera omnia di Cerami, e sapranno ben farlo esperti competenti e più distaccati di noi in questo momento. Non sarà semplice, trattandosi di un artista che si trovava ad essere spesso fuori campo: era un romanziere fra gli sceneggiatori, sceneggiatore fra i poeti, poeta fra i teatranti, teatrante fra i politici... Non era, insomma, uno scrittore "puro", era un artista impuro, uno scrittore prestato al cinema, un cinematografaro prestato al teatro, un teatrante autore di poemi in versi. Vincenzo era un poeta in prestito, e questa l'ho sempre considerata una sua singolare dote.

Venerdì, durante la cerimonia funebre, la memoria mi andava, con intermittenze, a quando insieme, partecipavamo a un funerale, e un po' scherzando, ci trovavamo a commentare l'evento, anche in modo rispettosamente scherzoso.

La decisione della famiglia di salutarlo con una cerimonia di rito cattolico non è stata presa su indicazioni lasciate in merito da Vincenzo, ma dal ricordo di tanti leggeri commenti, fatti da lui stesso, in occasione di altri riti funebri: «Il funerale in chiesa? Bah, forse è meglio, perché non si sa mai». Questa battuta racconta bene la ambigua grazia con la quale Cerami affrontava la vita; o meglio il racconto della vita, la sua e quella degli altri, di cui sono colmi i racconti de La gente. È un'ironica leggerezza con la quale forse combatteva i fantasmi sinistri che lo abitavano, e che cercò infantilmente di imprigionare nel suo prediletto romanzo, intitolato appunto Fantasmi.

Durante la dolorosa cerimonia, venerdì, nella chiesa romana di Santa Maria dei Miracoli, quello che più mi è mancata è stata la possibilità di incrociare il suo sguardo, come succedeva in tante occasioni, per un muto commento – magari anche burlone – al discorso del prete; o la possibilità di telefonargli subito dopo, per raccontargli come era andata.

Nel 1989 Cerami scrisse i versi di una cantata, dedicata al mito di Narciso. Il finale, dopo il tonfo della morte del protagonista, si concludeva con pochi versi, potenti e belli. Raccontavano proprio il silenzio della morte, senza panico, ma anche senza alcuna prospettiva salvifica religiosa. Versi che per tante sere hanno commosso le platee dei teatri, ne sono personalmente testimone. Versi che, a rileggerli oggi, ci dànno fatalmente una commozione ancor più forte: Il silenzio che venne dopo / è quello degli eterni cieli /notturni e in moto perpetuo. / Un cielo dentro l'altro / contro l'altro / con due stelle che lassù / – forse col rumore di un soffio – / si scontrano e si spengono / l'una contro l'altra / una dentro l'altra. / E quanti bagliori / lontani da tutti gli occhi / momento dopo momento / da sempre / per sempre / accendono quei cieli bui / di ultimi lampi / di respiri luminosi / di attimi che tutti insieme sommati / fanno finalmente / il nulla.

All'uscita dalla chiesa, la bara è stata accolta da un sonoro applauso. Tanti di noi, negli ultimi tempi, hanno spesso stigmatizzato quest'usanza moderna dell'applauso al feretro, bollandola come "televisiva", (chissà perché). C'è chi dice che è un gesto apparso per la prima volta al funerale di Anna Magnani, ma io ho anche un ricordo vago del l'applauso alla bara di Totò. Parliamo in ogni caso di qualche decennio fa, quanto basta perché un'abitudine si possa chiamare col termine assolutorio "tradizione". So che molti trovano ineducato o barbaro questo gesto, ma io venerdì ho applaudito con foga l'ultimo viaggio terreno di Vincenzo, perché so che gli avrebbe fatto veramente piacere, e mi addolorava tanto, tantissimo che lui non potesse essere lì a goderselo. Ma, immagino, voglio immaginare, che da qualche parte il nostro applauso l'abbia sentito, e se lo sia goduto. Addio Vincenzo.

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