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Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2013 alle ore 08:42.

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Negli Stati Uniti è la serie del momento. E non solo perché pochi giorni fa è iniziata la seconda stagione, o perché ogni episodio della prima, 9 in tutto, è stato visto da almeno 4 milioni di persone, tanto da suggerire a colossi come iTunes e Netflix di distribuirne un montaggio delle due ore complessive; Video Game High School è al centro dell'attenzione perché rappresenta il futuro dei contenuti audiovisivi, produzione e consumo compresi. Scritta, diretta e interpretata da un gruppo di giovani che per finanziarla ha racimolato 273mila dollari su Kickstarter, il più celebre indirizzo di crowd funding della rete, proprio online la serie è visibile in esclusiva gratuita. Che indichi la rotta nell'era post-televisiva è vero per più di una ragione: dal punto di vista produttivo Vghs costituisce un esempio virtuoso di indipendenza. Un caso anche più dirompente di progetti non convenzionali come House of Cards – blockbuster seriale pagato da Netflix e interpretato da Kevin Spacey –, o come le 300 ore di serie animate vendute pochi giorni fa da Dreamworks per la diffusione in streaming su Netflix Just for Kids. Dal punto di vista narrativo, lo show racconta coi toni carichi della teen comedy vita, game over e miracoli di un'accademia videoludica in un futuro in cui i giochi elettronici sono lo sport più praticato. A nemmeno un mese dalla reale ammissione negli Stati Uniti dei gamer fra gli atleti professionisti, il soggetto – di due anni fa – più che à la page è squisitamente premediale.
E il consumo della serie? Definitivamente libero da vincoli di palinsesto e da un mezzo specifico (leggasi: è cross mediale e multipiattaforma). In altri termini Vghs è un modello alternativo pronto a sostituire il broadcasting tradizionale. Non un caso che i suoi autori, oggi noti come Rocket Jump, indichino le webseries come «il formato che inaugurerà la nuova era dei contenuti digitali». A dar loro ragione è arrivata anche l'Italia. Da giovedì scorso e per 6 settimane, con Una grande famiglia - 20 anni prima Rai1 e Cross Productions testeranno le potenzialità della prima mag(azine)series tricolore; disponibile sui siti di «Vanity Fair» e Rai e fruibile da ogni device portatile, l'esperimento è concettualmente più vicino ad House of Cards che a Vghs. Con un budget complessivo di 700mila euro – equivalente al costo di ogni singola puntata della fiction di cui 20 anni prima è il prequel –, la produzione può avvalersi anche di nomi in ascesa del nostro cinema, come Giuseppe Maggio o Josafat Vagni, e di un cast tecnico under 30 nato e cresciuto sul web. Lungi dal vanto anagrafico, il dato è distintivo di un approccio diverso ai contenuti: si pensi all'uso della fotografia, o a come la sceneggiatura debba adattarsi a una scansione temporale e a prassi di consumo nuove, in cui cliché formali come flashback e cliffhanger (i "finali sospesi" tipici della narrazione a episodi) perdono la loro funzione originaria.
Ancora diversa è la strategia di Vdrome Project, piattaforma digitale concepita per esplorare il rapporto fra cinema e arte contemporanea. Vdrome.org rende disponibili a titolo gratuito video e film di artisti e registi internazionali, corredandone la selezione con introduzioni critiche ad hoc. La periodicità della pubblicazione, la disponibilità prolungata dei contenuti, l'alta qualità di video altrimenti reperibili solo in ristretti circuiti artistici o cinematografici, connotano a un tempo un'identità editoriale marcata e un approccio (comunicativo) flessibile. Due ingredienti necessari per rimanere, oggi, al centro di un'offerta mediatica polimorfa. O, per dirla con Vghs, lontani dal game over.
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