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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 08:42.

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Con il trasferimento (nel 2012) della Galleria Sabauda dal Palazzo della Accademia delle Scienze alla "manica Nuova" di Palazzo Reale, sono cominciati a Torino gli imponenti lavori di riallestimento del glorioso Museo Egizio, secondo il piano con cui nel 2008 lo studio Isola Architetti vinse l'omonimo concorso. In attesa del completamento, previsto per il 2015 in concomitanza con l'Expo di Milano, i due piani superiori del Collegio dei Nobili disegnato nelle caratteristiche forme del barocco piemontese da Guarino Guarini sono stati chiusi: e tuttavia non è chiuso il Museo. Che anzi, con l'apertura straordinaria di giovedì 1 agosto, non solo rimane aperto per ferie, ma continuerà, sino al riassetto definitivo del 2015, a mantenere vivo il suo contatto con la città e con il mondo della cultura. Una decisione importante e controcorrente , che il neopresidente, Evelina Christillin ha sostenuto con forza ed entusiasmo, sfatando il triste stereotipo di un paese sempre più rassegnato a perdere posizioni nel mondo. D'altra parte mezzo milione di visitatori l'anno sono un patrimonio che non si può disperdere e se la soluzione di tenere aperto il museo insieme al suo cantiere richiede una certa, audace fantasia, questa non è mancata al presidente, né al direttore, Eleni Vassilika, né agli architetti dello studio Isola e Associati, cui si sono aggiunti, per l'occasione , i milanesi Ico Migliore e Mara Servetto.
L'idea è semplice, ma efficace: aprire subito al pubblico le nuove sale ricavate sottoterra, conducendo il visitatore dall'ingresso di via Accademia delle Scienze nel cosiddetto Piano Ipogeo, allestito con circa mille reperti tra i più rappresentativi della collezione, che costituiranno nei prossimi due anni il nucleo tematico della mostra «Immortali. L'Arte e i Saperi degli antichi Egizi». Così, invece di andare in deposito, le collezioni spostate dai piani impegnati dai lavori, tornano ad attrarre il pubblico disponendosi nella penombra dello spazio sotterraneo: per i visitatori, un'anticipazione a sorpresa dell'itinerario che prosegue risalendo al piano terreno nella Sala del periodo Predinastico e continua con il pezzo forte della Tomba di Kha e il successivo coup de théâtre del cosiddetto Statuario, la grande sala allestita da Dante Ferretti in occasione delle Olimpiadi con le maestose e suggestive effigi di dei e faraoni. Al completamento dei lavori , la sala ipogea diventerà il primo punto di accoglienza (biglietteria, museum shop, guardaroba, sale didattiche,eccetera) del nuovo percorso museale, un po' simile, nel funzionamento, alla Piramide di Pei nella cour carré del Louvre. Da qui, attraverso un sistema di scale mobili – che Dante Ferretti ha immaginato simile a un ideale "risalita del Nilo" – si raggiungerà direttamente al secondo piano per poi ridiscendere ( come nel Guggenheim di New York) alla conclusione del piano terra.
Nel frattempo, due grandi lucernari quadrati sfondano il buio della sala, consentendo di osservare dal basso le facciate barocche del palazzo, come fotogrammi di un film. D'altra parte uno dei punti più convincenti del progetto sta proprio nella convinzione di dover ristabilire dei collegamenti con il tessuto urbano, definendo con precisione l'asse trasversale pedonale che congiungerà la novecentesca via Roma con la via Accademia delle Scienze e ricavando lo spazio di un roof garden, da cui è immediatamente percepibile la ricchezza della città storica, con tutte le stratificazioni degli stili, dei materiali e delle forme che si sono sovrapposte nei secoli a formare l'identità composita di Torino. Un effetto di permeabilità alla città potenziato dalla brillante intuizione di Ico Migliore e Mara Servetto che , nel progettare la pausa effimera del museo come cantiere permanente, hanno individuato nel portale d'ingresso un elemento chiave del progetto di coinvolgimento della città. Il cantiere si spettacolarizza e si autorappresenta nel lungo muro di protezione che costeggia la facciata del palazzo, raccontando a cittadini e visitatori quello che avviene dentro .Integrando grafica e display in movimento, il portale – che gli architetti definiscono "emozionale" – trasforma un passaggio di accesso e di transizione in una carte de visite di grande impatto, pur evitando certi abituali eccessi tipici dell'invadenza del digital design in ambienti storici.
Per Torino – anzi per l'Italia – si tratta di una tappa importante di rinnovamento delle proprie strutture museali, che, dalle ricostruzioni del secondo dopoguerra, sono rimaste sostanzialmente immutate. Negli anni 50, la museografia italiana stupì il mondo con i capolavori di Scarpa, di Albini, di Caccia Dominioni, dei BBPR, compiendo il poderoso e inventivo sforzo di resettare immagine e struttura della fruizione museale nel segno di una ricerca che faceva coincidere il rifiuto degli stereotipi con l'affermazione etica della verità dell'arte. Dopo la stagione dei maestri, abbiamo avuto dei ritocchi e degli ammodernamenti che di fatto non hanno ancora prodotto un aggiornamento dell'esperienza museale e allestitiva simile per forza e impatto a quegli ormai lontani capolavori. Eppure, nel resto del mondo, anche i musei storici hanno cambiato faccia, dal Louvre al British Museum, al Rijksmuseum, al Prado, eccetera: certamente con risultati diversi e non sempre apprezzabili, ma significativi della necessità del museo oggi di reinventare il proprio rapporto con la società. Trovare e sperimentare nuovi linguaggi comunicativi che non alterino tuttavia il senso dell'esperienza (unica) del rapporto personale con il reperto e con la sua materialità, è oggi indispensabile per la vita di un'istituzione che deve continuamente rinegoziare il suo contratto sociale. A Torino , in attesa della verifica finale del 2015, è dunque giusto apprezzare la maniera di cavalcare gli ostacoli trasformandoli in opportunità. Il museo egizio si prova a raccontare se stesso, la sua storia, le sue ambizioni e le sue trasformazioni volgendo il cantiere – dove è abitualmente vietato l'accesso ai non addetti ai lavori – in un punto di accoglienza dove il pubblico è stimolato a non fermarsi all'apparenza del prodotto finale, ma a conoscere la complessità del processo che lega il presente al futuro.

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