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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 08:39.

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Il 2008 è stato da molti considerato un anno epocale. La crisi prima finanziaria e poi economica che ha sconvolto l'Occidente e il mondo intero a partire dagli Stati Uniti è stata per il capitalismo democratico un segnale importante. In chiave storica, il secondo dopoguerra è stato caratterizzato dal 1945 al 1989 dal conflitto tra comunismo di stato e capitalismo democratico. Si riteneva che il 1989 avesse segnato la definitiva vittoria del secondo sul primo con la conseguente «fine della storia». Così non è stato e la crisi del 2008 ha mostrato che anche il capitalismo democratico vive giorni difficilissimi. Il capitalismo democratico è sempre stato segnato della tensione tra imperativi economici dettati dal profitto e imperativi di giustizia distributiva. Il 2008 ha visto rompersi l'equilibrio tra questi due imperativi, equilibrio che si basava sulla crescita del debito, pubblico o privato secondo i casi. Questo metodo non è più proponibile, i nodi vengono al pettine e capitale e lavoro appaiono duramente in conflitto reciproco.
Un'analisi di questo tipo è formulata da Wolfgang Streek, un sociologo tedesco direttore del Max Plank per gli studi sociali di Colonia, che la propone nel suo ultimo libro Gekaufte Zeit (all'incirca tempo comprato). Lo stesso Streek ha riproposto questa tesi in un articolo dedicato all'Europa, sostenendo che l'Eurozona è oramai in crisi irreversibile. Se la Lombardia – sostiene Streek – non è riuscita a bonificare il Sud dell'Italia, non si vede perché Finlandia o Germania dovrebbero riuscirci con il Sud d'Europa. Inoltre, sempre secondo Streek, la soluzione dei problemi europei potrebbe avvenire solo in nome del capitale, attraverso una politica di stretta fiscale oppure finanziando le banche. A questa soluzione oggettivamente di destra, Streek contrappone una soluzione di sinistra – nella tradizione della Scuola di Francoforte da cui proviene – basata sulla scissione nell'Eurozona e la ripresa democratica a livello di stati-nazione. Sia alla tesi del libro che all'euroscetticismo dell'articolo menzionato, ha voluto rispondere Juergen Habermas in una recensione (in Blätter für deutsche und internationale Politik Heft 5) e in una conferenza a Lovanio lo scorso 26 aprile (Democracy, Solidarity and the European Crisis).
Per Habermas, l'analisi della crisi di Streek, pur contenendo elementi di interesse, è al fondo sbagliata. Solo l'intesa internazionale attraverso istituzioni globali efficaci può a suo avviso aiutare a affrontare le difficoltà in maniera adeguata. Più o meno la stessa soluzione è proposta da Habermas per quanto riguarda l'Europa. In Europa la unione politica deve sostituire quella semplicemente economica. Con una significativa aggiunta che riguarda la necessità di una ripresa di solidarietà intra-europea. La solidarietà di cui si parla non è una virtù morale ma politica, e presuppone l'esistenza di una comunità naturale di interessi e valori. Facile commentare che nella sostanza Habermas sembra aver ragione, ma che Streek presenta una tesi provocatoria e interessante sul rapporto tra crisi del capitalismo democratico e destino dell'Europa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Wolfgang Streeck, Gekaufte Zeit, Suhrkamp, Berlino,
pagg. 270, € 27,45
Wolfgang Streeck, Markets and Peoples, New Left Review 73,
gen-feb 2012

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