Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 08:43.

My24

Il 66º Festival del cinema di Locarno (7-17 agosto), il primo diretto da Carlo Chatrian, si preannuncia come uno dei più interessanti degli ultimi anni. Molti i nomi di registi affermati o da tenere d'occhio, dallo spagnolo Albert Serra al coreano Hong SangSoo, da Claire Simon a Julio Bressane. E poi Pippo Delbono, l'esordio nella fiction del documentarista Bruno Oliviero, i due maestri del "cinema d'archivio" Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi. Un Pardo d'Oro alla carriera verrà assegnato al grande Werner Herzog, uno dei grandi nomi del cinema d'oggi. Tra i protagonisti del nuovo cinema tedesco negli anni 70, il suo nome è legato a film come Aguirre furore di Dio (1972), L'enigma di Kaspar Hauser (1974), Nosferatu (1979) o Fitzcarraldo (1982). Ma, diversamente da quasi tutti i suoi colleghi dell'epoca, Herzog è riuscito a reinventarsi negli ultimi due decenni, identificando nel cinema di non-fiction uno dei terreni più ricchi di potenzialità. In un ambito che è riduttivo definire "documentario", Herzog ha costruito una sorta di titanica rifondazione del cinema, rimettendo in discussione i confini tra verità e finzione, ma in fondo con una fiducia titanica, tardo-romantica nella figura del regista. Da Grizzly man, ritratto di un personaggio che sembra venir fuori dai suoi film degli anni 70 , a L'ignoto spazio profondo, finto documentario sulle esplorazioni spaziali con un alieno che racconta in prima persona, tra vecchi filmati della Nasa e canti dei tenores sardi, fino a Cave of Forgotten Dreams, esplorazione in 3D di una caverna con pitture rupestri che risalgono all'alba dell'umanità. Film a modo loro di grande spettacolarità, genialmente ambigui nel riflettere sul passato e il destino del cinema, anche del proprio. A Locarno Herzog porterà i suoi ultimi lavori, una serie di quattro documentari da 50' per la televisione su altrettanti condannati a morte del Texas, in attesa dell'iniezione letale.
Death Row II, questo il titolo, prosegue una prima serie iniziata dal regista l'anno scorso, e assume le apparenze di un format più tradizionale, quello del documentario d'inchiesta. Ogni puntata ha il nome del tragico protagonista: Darlie Routier è accusata di aver ucciso i suoi due bambini a coltellate; Douglas Feldman ha sparato a due persone per strada uccidendole (il che lo ha fatto automaticamente passare nella categoria giuridica dei serial killer); Robert Fratta ha ucciso la moglie; il protagonista di Portrait of Blaine Milam, ventenne, ha massacrato la figliastra di un anno cercando di esorcizzarla. Nei vari episodi Herzog è sempre fuori campo, incalza con le sue domande i condannati, i poliziotti, i parenti, l'accusa e la difesa, con un atteggiamento che oscilla tra carità e sadismo. A volte abbandona il tono curioso e impersonale, per contestare pacatamente quel che dicono gli intervistati (come il pubblico ministero che rivendica la liceità della pena di morte perché «gli esseri umani non uccidono gli esser umani», e dunque chi lo fa deve essere eliminato dal genere umano), e all'inizio di ogni puntata dichiara la sua posizione, nettamente contraria all'omicidio di Stato. A tratti, addirittura, si specchia quasi in certi personaggi, come l'assassino che ha viaggiato dovunque, tra l'Antartide e l'Amazzonia, a volte sfiorando proprio i luoghi in cui è stato anche Herzog, regista giramondo.
In effetti, rispetto a certe recenti vette herzoghiane, questi appaiono come lavori più "di servizio", che si affidano a una realtà sconvolgente. Le musiche di sottofondo, l'alternarsi di interviste, voce over e materiali vari situano il film all'interno di un format televisivo ben definito. L'autore si è insomma cimentato con un genere, quello del "tv crime", che ha regole ben precise nella tv americana e non solo. Ma alla fine, a vedere insieme i quattro lavori, viene fuori anche un affresco dell'America profonda, che paradossalmente parte dall'orrore pienamente dispiegato e poi ne rintraccia a ritroso o di sbieco gli echi o le radici in dettagli minimi: nei luoghi, negli arredi, nei vestiti, nelle foto di famiglia ossessivamente presenti come reperti goffi e strazianti. I filmati della polizia e gli home movies sono in questo modo speculari, le vittime somigliano ai carnefici, gli interrogativi morali e sociali si fondono.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi