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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 08:41.

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Che cosa potevamo fare e non abbiamo fatto per il Sud? La domanda che attraversa il pamphlet di Carlo Borgomeo è semplice e altrettanto insidiosa.
Potevamo fare molto, meglio e spendendo decisamente meno.
Le voraci e frettolose classi dirigenti del Sud (e del Nord) hanno preferito piantare enormi fabbriche chimiche o siderurgiche al posto di sterminati uliveti. Una politica del mordi e inquina che nel lessico politico rispondeva alla necessità di creare il maggior numero di posti di lavoro nel minor tempo possibile. Una politica col calendario e l'orologio alla mano, che non ha neppure arrestato l'ascesa nel triangolo industriale di un bracciantato in cerca di riscatto sociale. L'Ilva, ex Italsider, di Taranto e le immaginifiche cattedrali chimiche di Priolo o Porto Torres non sono che la traduzione visiva dei disastri industriali negli angoli più affascinanti del Mediterraneo. Fu Pasquale Saraceno a decidere per il grande e subito. E furono i governi di quasi tutti i colori della Prima repubblica a perpetuare per convenienza quel disegno.
Ci sarebbe stato bisogno, dice l'economista e Nobel svedese Gunnar Myrdal, di «un moto ascensionale dell'intero sistema sociale». Un moto che insieme alla produzione e alla distribuzione badasse ai livelli di vita, le istituzioni, gli atteggiamenti e le politiche. Guido Dorso, ma non solo lui, l'aveva profetizzato nel 1945: «Il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia: non chiede aiuto, ma libertà. Se il Mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, tutto sarà inutile».
Non è stato tutto inutile, ma quei 550 casi di abbandono della scuola primaria a Napoli nell'anno scolastico 2009-2010 si sommano a una sequenza di record negativi – dalla dispersione scolastica alle percentuali risibili di raccolta differenziata – che da soli segnalano quanto il civismo sia ancora estraneo a fette consistenti della popolazione.
Borgomeo non è un osservatore disinteressato: da gestore della legge per l'imprenditoria giovanile al Sud e inventore del prestito d'onore, ha tentato di mobilitare energie e contrastare le politiche centraliste di pura e semplice erogazione di denaro pubblico. Un compito titanico, in buona parte vanificato dal virus centralista che con la riforma del titolo V della Costituzione lo Stato ha inoculato alle Regioni. Tutto e subito, avevano chiesto le classi dirigenti. Il consuntivo avrebbe consigliato una decisa sterzata, invece le élite si sono limitate a rimpiazzare il defunto intervento straordinario con la contrattazione programmata, altro sistema avalutativo e pletorico basato sulla complicità di tutti gli attori di ogni singola provincia. Un'ammucchiata. Che rimanda al gravissimo ritardo italiano – al Nord come al Sud – nel sistema di valutazione delle politiche pubbliche.
Ripartiamo dal basso e dal sociale, esorta Borgomeo. Con quel pessimismo della ragione solo parzialmente compensato dalle soddisfazioni di un ruolo – dal 2009 è presidente della Fondazione con il Sud – che gli consente di finanziare decine di microimprese nelle aree più dolenti ma allo stesso tempo più reattive di un Mezzogiorno che finalmente pretende di mostrare il suo lato in fiore.
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Carlo Borgomeo, L'equivoco del Sud. Sviluppo e coesione sociale,
Laterza, Bari, pagg. 192, € 12,00

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