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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 08:41.

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La Grande Crisi non solo ha cancellato miliardi di euro e posti di lavoro, ma anche molte certezze sulle politiche macroeconomiche necessarie ad uscirne. Molti degli strumenti usati in questi anni per rilanciare l'economia e risanare i conti pubblici non erano convenzionali, non facevano parte dell'armamentario usato fino ad allora. Il carattere sperimentale del processo di risanamento ha lanciato un dibattito ampio sul futuro della macroeconomia di cui si è dato conto su questo giornale.
Le riflessioni più lucide e aperte sul modo in cui la politica economica doveva essere rivista sono state fatte dal Fondo monetario internazionale (Fmi), sotto la regia del suo capo economista Olivier Blanchard. Le analisi del Fondo sono un'utilissima guida per chiunque voglia orientarsi nel tortuoso labirinto di questi temi, e hanno soprattutto influenzato il corso della politica economica durante la crisi.
Un riquadro del World Economic Outlook del Fmi dell'ottobre 2012, ad esempio, ha ribaltato il credo europeo sul tema annoso e assai difficile del giusto equilibrio tra consolidamento fiscale e crescita economica. Il lavoro evidenziava come le stime della elasticità (ossia dell'intensità di reazione) del prodotto interno lordo ai tagli fiscali fosse molto maggiore di quanto si sapesse fino ad allora. Il che spiegava perché le misure adottate dai Paesi europei tra il 2011 e il 2012 per contenere il deficit fiscale avessero avuto un effetto così fortemente recessivo. Questo risultato metteva in discussione l'idea che l'austerità potesse rapidamente portare alla ripresa economica ridando fiducia e serenità ai mercati. E da qui gradualmente, con sobbalzi e tentennamenti, il consenso europeo si è spostato verso posizioni meno rigide sul consolidamento fiscale. Per questo alla Francia e alla Spagna sono stati dati tempi più lunghi per l'aggiustamento, l'Italia è uscita dalla procedura di infrazione da deficit eccessivo conquistando margini di manovra e la morsa sulla Grecia si è un po' attenuata.
Allo stesso tempo, però, una lettura attenta della posizione del Fondo (Blanchard et al., Rethinking Macro PolicyII:Getting Granular), rivela che sarebbe assai stolto confondere l'invito alla flessibilità con una sottovalutazione del debito pubblico elevato. Il debito è un problema e per questo non è possibile rilanciare la crescita senza un piano di medio termine per ridurlo. La crisi, sostengono Blanchard e co-autori, ha evidenziato un possibile gravissimo costo indotto dal debito elevato: "il rischio di equilibri multipli", dovuti al comportamento dei mercati. Come è possibile che il nostro spread (il differenziale nel tasso di interesse dei titoli di Stato a 10 anni con la Germania) sia arrivato oltre 500 punti, mentre per Paesi come la Francia o il Belgio, con problemi non dissimili dal nostro sia rimasto bassissimo? È questione di credibilità e fiducia. Avere debito significa andare continuamente sul mercato per chiedere nuovi fondi. Un mercato riluttante, significa poche risorse, tassi elevati e un deficit che va così fuori controllo.
Altro elemento di rischio è la così detta Fiscal Dominance. Ossia che l'incapacità degli Stati di finanziare il proprio debito sul mercato induca a premere sulle banche centrali perché lo facciano loro. Il Fondo sottolinea ancora come in queste situazioni sarebbe gravissimo che la politica monetaria, le Banche centrali, perdessero la propria indipendenza, ossia la possibilità di decidere di non finanziare il debito del proprio Paese.
Attenzione questo non è il "whatever it takes", tutto quello che ci vuole, di Mario Draghi. Ossia l'impegno della Banca centrale europea a mantenere a livelli accettabili lo spread sui titoli di Stato. L'intervento di Draghi (che tra l'altro è rimasta una credibile minaccia che ha avuto grande efficacia senza che la Bce sborsasse un Euro) ha semplicemente modificato l'equilibrio cattivo (gli equilibri multipli) in cui si era cacciata la finanza pubblica italiana e spagnola a prescindere dai loro problemi oggettivi.
Non si tratta di finanziamento diretto agli Stati. Misura non ortodossa (ma non perdita di indipendenza), che ha permesso al mercato del debito sovrano di riprendere a funzionare e alla politica monetaria di tornare ad essere efficace.
Insomma, la rilettura della politica macroeconomica deve essere soprattutto un invito alla cautela a una revisione sperimentale ma accorta, che non induca in facili chimere e gravi passi falsi.
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Questo articolo chiude la serie dedicata al modello e alle politiche economiche più efficaci per combattere la crisi. Fa seguito agli interventi pubblicati sulla Domenica di Pier Carlo Padoan («Riforme senza scorciatoie») e di Joseph Stiglitz («Macroeconomia oltre l'austerity»)
i paper
Ecco alcuni dei principali paper
del Fondo monetario internazionale sulla rivisitazione
della macroeconomia:
Olivier Blanchard, Giovanni Dell'Arriccia e Paolo Mauro, 2013, 'Rethinking Macro Policy II: Getting Granular" Imf, Staff Discussion Notes No. 13/3
Olivier Blanchard e Daniel Leigh, 2013 'Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers', Imf Working Paper 13/1
Blanchard, Olivier, Giovanni Dell'Ariccia, and Paolo Mauro (2010), "Rethinking Macroeconomic Policy", Journal of Money, Credit, and Banking 42 (supplement), 199-215.
Blanchard, Olivier, David
Romer, Michael Spence, and Joseph Stiglitz, 2012, In the Wake of the Crisis (Cambridge, Massachusetts: Mit Press).

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