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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 08:37.

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Settant'anni fa, il 9 luglio 1943, gli Alleati sbarcarono in Sicilia, un altro sbarco ci fu in settembre nei pressi di Salerno. Quell'imponente operazione militare, prima tappa in Europa della guerra al nazifascismo, fu lungamente preparata dall'intelligence britannica (Special Operations Executive, Soe) e americana (Office of Strategic Services, Oss) di cui vengono ora pubblicati in Italia alcuni documenti riguardanti la guerra psicologica da condurre tra il 1940 e il 1943 in Sicilia, nodo strategico del Mediterraneo.
La documentazione contenuta nel libro Operazione Husky aggiunge nuovi particolari sulle iniziative degli Alleati già conosciute dagli storici. L'Inghilterra di Churchill, che considerava l'Italia «il ventre molle dell'Asse», si era mossa fin dal 1940 per distaccare l'Italia dalla Germania avendo come punti di riferimento la Monarchia, le Forze armate e il Vaticano ritenuti, a torto o a ragione, non del tutto allineati alla guerra mussoliniana. In seguito, dopo Pearl Harbor, gli Stati Uniti di F.D. Roosevelt cominciarono ad attrezzarsi per affrontare militarmente l'invasione della Sicilia, puntando a loro volta sui rapporti degli italo-americani con la madrepatria e sugli interessi politici degli esuli della Mazzini Society di cui erano esponenti Salvemini, Pacciardi e il conte Sforza. Il «progetto Sicilia» messo a punto nel luglio 1942 da Max Corvo, un giovane militare di ascendenza antifascista, prevedeva la penetrazione nell'isola di agenti informatori italo-americani per prender contatto con settori disponibili della popolazione e fomentare atti rivoltosi in vista dello sbarco. Anche Vanni Buscemi Montana del Comitato socialista italiano in esilio ebbe un ruolo importante nell'annodare in clandestinità i fili tra le sponde dell'Atlantico prima che i soldati mettessero piede in Sicilia.
L'intelligence americana, al corrente della situazione italiana dopo le catastrofiche campagne d'Africa e di Russia, seguiva ancor prima del 25 luglio le ambigue trame che le alte sfere dell'esercito (generali Badoglio e Caviglia) e del regime (Grandi e Ciano) andavano intessendo per uscire indenni dalla guerra fascista. A loro volta gli antifascisti italiani che facevano capo alla centrale americana di Berna guidata da Allen W. Dulles, tenevano i collegamenti tra gli Alleati e la resistenza politica che, dopo l'8 settembre, diverrà armata. I documenti di Operazione Husky rivelano l'importante ruolo di Adriano Olivetti che, alla guida dell'auto paterna, aveva da giovane aiutato Turati a fuggire dall'Italia in sintonia con i fratelli Rosselli. Nel giugno 1943 l'agente Brown (Olivetti), in contatto con i generali Badoglio e Raffaele Cadorna, presentò a Berna un progetto per la costituzione di un comitato antifascista all'estero capeggiato da Luigi Salvatorelli, Ugo La Malfa e Carlo Levi, che doveva porsi l'obiettivo di ribaltare il regime, affidare la reggenza al trono a Maria José e portare l'Italia su posizioni neutrali. Olivetti disponeva certo di buoni contatti e informazioni su quel che in seguito sarebbe accaduto a Roma, ma non valutava realisticamente la drastica reazione che avrebbero avuto i tedeschi al cambiamento di fronte.
I curatori di Operazione Husky, Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino, a cui pure va il merito della pubblicazione, espongono nell'introduzione ai documenti sulla Sicilia (170 pagine su 275) alcune tesi che prescindono dal contesto delle necessità belliche. Vi sarebbero stati nell'operazione militare «accordi sottobanco» con la mafia, mentre è stato accertato dalla commissione Kefauver sul crimine organizzato che i «rapporti inconfessabili» con il gangster Lucky Luciano a Sing Sing riguardarono solo gli attentati al porto di New York, e che il declamato lancio in Sicilia del fazzoletto con la grande L come segnale mafioso non è altro che leggenda. È vero che in un secondo tempo il Governo militare alleato del colonnello Poletti insediò alcuni sindaci mafiosi tra cui il capobastone Calogero Vizzini a Villalba, ma si trattò di scelte affrettate dovute alla necessità di mantenere l'ordine pubblico in una situazione di vuoto di cui ebbero a lamentarsi anche i pochi antifascisti del PdA che conoscevano i trasformisti locali. Un'altra interpretazione ideologizzante sta nella tesi introduttiva che postula il legame tra l'intelligence militare del tempo – l'Oss e il Soe – e la rete Stay-behind (in Italia Gladio) costituita con protocolli riservati dell'Alleanza atlantica nel 1950 in concomitanza con l'espansionismo sovietico. E non ha neppure un riscontro documentale il giudizio secondo cui i contatti degli Alleati con i leader antifascisti socialisti, liberali e monarchici sarebbero stati una «alternativa di facciata al regime mussoliniano». Sono proprio i documenti a dimostrare che negli anni più duri della guerra furono soprattutto gli americani a coinvolgere gli italiani nel riscatto dal ventennio nel momento in cui v'era la completa dissoluzione delle istituzioni. Churchill nel «discorso della caffettiera» sull'Italia affermò nel febbraio 1944: «Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente, è meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne un altro egualmente comodo e pratico e comunque finché non si abbia a portata di mano uno strofinaccio».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giuseppe Casarrubea, Mario José Cereghino, Operazione Husky. Guerra psicologica e intelligence nei documenti segreti inglesi e americani sullo sbarco in Sicilia, Castelvecchi, Roma, pagg.274, € 19,50

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