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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 08:40.

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Il film di Orson Welles Too Much Johnson, girato nel 1938 e considerato perduto da decenni, è stato ritrovato dal cineclub Cinemazero di Pordenone. Lo ha identificato Ciro Giorgini, uno dei massimi esperti italiani di Welles. La copia rinvenuta – un positivo in nitrato – è stata affidata alla Cineteca del Friuli e restaurata dalla George Eastman House con il contributo della National Film Preservation Foundation, in vista della première alle Giornate del Cinema Muto il 9 ottobre. Questo stupefacente grappolo di notizie ha come punto di partenza uno sfortunato esperimento di gemellaggio fra cinema e teatro. Vale la pena di riassumerne le vicende.
Manhattan, giugno 1938. Welles ha compiuto da poco ventitré anni ed è già una celebrità. Ne aveva solo diciannove quando ha sposato l'attrice Virginia Nicholson. È diventato papà il 27 marzo (una bambina, ma l'hanno chiamata Christopher). Ha fondato il Mercury Theatre a New York nel 1937; dirige un programma radiofonico settimanale commissionato dalla Cbs; sta preparando gli spettacoli della seconda stagione teatrale d'autunno, che prevede La morte di Danton (1835) di Georg Büchner e Too Much Johnson (1894), riduzione da una pochade in tre atti di William Gillette (nel linguaggio colloquiale dell'epoca il titolo ha un significato licenzioso, riferito ai genitali maschili). È una scanzonata "commedia degli errori" concitata nei ritmi e leggera nei toni.
Welles, già avvezzo ai colpi di testa (aveva allestito un Macbeth ad Harlem con un cast tutto afroamericano e un Giulio Cesare in costumi moderni), ne ha in mente un altro: vuole un Too Much Johnson con tre prologhi filmati – una ventina di minuti il primo, circa dieci per ciascuno degli altri due – da proiettare in scena prima di ogni atto. Dovrebbe essere un film muto a forma di trittico, concepito in puro stile slapstick con tanto di Keystone Kops (gli arzilli poliziotti delle comiche di Sennett) e accompagnamento musicale dal vivo, composto da Paul Bowles. È lo stesso Bowles del romanzo The Sheltering Sky (Il tè nel deserto, 1949).
John Houseman, produttore del Mercury Theatre, trova diecimila dollari per finanziare il progetto; Welles chiama a raccolta i suoi attori, che si prestano volentieri all'avventura: il cast comprende fra gli altri Virginia Nicholson, la giovane moglie di Welles; il critico teatrale Herbert Drake (nella parte di un Keystone Kop); e Joseph Cotten – grande amico di Welles, di lì a poco tra i protagonisti di Quarto potere (Citizen Kane, 1941) – nella parte principale del falso Johnson. Welles ha studiato le comiche del muto e le ha fatte vedere agli interpreti. Gli piace Chaplin, naturalmente, e ha un debole per Harold Lloyd in Preferisco l'ascensore (Safety Last!, Fred Newmeyer e Sam Taylor, 1923).
Prima di essere ufficialmente inaugurato al Mercury Theatre, Too Much Johnson dovrebbe vedere la luce in forma di anteprima allo Stony Creek Theatre nei pressi di New Haven, Connecticut, il 16 agosto 1938. Siamo a metà luglio: Welles ha a disposizione quattro settimane per completare l'opera, una generosa illusione smentita dai fatti. Welles ha accorciato il testo originale di Gillette e ne ha ritoccato la trama, ma non ha una sceneggiatura per i prologhi: improvvisa le scene a memoria, tenendo sott'occhio il nuovo copione. L'ansia di concludere si scontra con l'estenuante, inevitabile lentezza del fare cinema. Il suo unico tentativo precedente in materia, The Hearts of Age (1934), era un breve esperimento – anch'esso muto – a metà strada fra l'home movie e il surrealismo. Da allora sono passati solo quattro anni; per quanto famoso, Welles non è ancora un cineasta e non può contare sull'appoggio di una società di produzione. Ha chiesto ai suoi attori di recitare per il film alla stessa tariffa di una prova teatrale, cioè a salario ridotto. Il sindacato degli interpreti se n'è accorto, e non gliela perdona. Dovrà sborsare il resto alle normali condizioni salariali.
Il colpo di grazia arriva nel momento in cui Welles si accorge che, per motivi tecnici, è impossibile proiettare pellicola allo Stony Creek Theatre. Too Much Johnson può ancora essere messo in scena, ma senza film. Welles getta la spugna e sospende il montaggio. Come previsto, Too Much Johnson è inaugurato allo Stony Creek Theatre con un testo raffazzonato all'ultimo minuto. È un solenne fiasco, e i suoi effetti sono facili da immaginare. Il Mercury Theatre apre la stagione autunnale con La morte di Danton (anche quello affonda); Too Much Johnson è sparito dal programma. Dopo un breve ma feroce attacco di depressione, Welles si rituffa nel lavoro per la radio.
La fuggevole resurrezione del film ha luogo intorno al 1969, in una villa nei sobborghi di Madrid. La "copia lavoro" è nelle mani di Welles, che la esibisce di tanto in tanto – per curiosità o per svago – ad amici e conoscenti: «Non ricordo se l'avevo sempre avuta e magari scovata in fondo a qualche baule, o se qualcuno me l'avesse portata. Comunque era lì. L'avevo guardata ed era in perfette condizioni, nemmeno un graffio, come se l'avessero proiettata solo un paio di volte. Era ottimo materiale. Cotten faceva una bellissima figura, così mi era venuta subito l'idea di montare il film e di mandarglielo per il suo compleanno». Welles prova in effetti a rimontare Too Much Johnson. Il tentativo ha vita breve: dopo una manciata di tagli e giunture, Welles lascia perdere e si occupa d'altro. Racconterà più tardi: «Ero partito per recitare in un film, forse Lettera dal Cremlino, e ho affittato la casa a Robert Shaw. Purtroppo, durante la mia assenza, c'è stato un incendio nel quale ho perso quasi tutti i miei averi. Forse è rimasto qualcosa. È molto improbabile che il film esista ancora, ma non si sa mai».

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