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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 08:29.

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Se qualcuno avesse pensato che con la consegna dei protocolli la tanto discussa vicenda Stamina sarebbe entrata nei binari della trasparenza, sappia che sbagliava. Il Paese continua a non avere alcuna idea del metodo, che rimane segreto, per imposizione di Vannoni Davide al ministero della Salute. Nel frattempo, il Movimento «Vite Sospese» emette un comunicato in cui annuncia una svolta epocale: «La Regione Sicilia ha approvato una risoluzione che individua due strutture sanitarie dove sarà possibile ottenere le "cure" secondo il metodo Stamina» e lo stesso Vannoni ha annunciato che anche l'Abruzzo ha aperto alle "cure" e che «si stanno muovendo anche tante altre Regioni».
Subito dopo la sen. Bonfrisco (Pdl) ha presentato un emendamento dell'art. 43 del cosiddetto "Decreto del fare" (poi ritirato ma trasformato in ordine del giorno della Commissione Bilancio del Senato), la cui approvazione avrebbe come conseguenza ultima quella di trasferire alle strutture sanitarie regionali il carico economico in materia di uso compassionevole di questa "non terapia", sottraendola di fatto al controllo nazionale.
Senza entrare nel merito della scientificità di una "non terapia" che fa ridere il mondo e della non corretta interpretazione del decreto Turco–Fazio sull'uso compassionevole fatta da Stamina fino ad oggi, cerchiamo di capire cosa comporterebbe questo passaggio di competenza alle Regioni.
Prendiamo ad esempio il caso della Sicilia, dove ci sarebbero 250 pazienti in attesa. Grazie alla risoluzione proposta dalla Regione tutti i pazienti (di cui non importa lo stato di gravità della patologia – altro tema su cui si dovrebbe aprire un capitolo di discussione) sarebbero trattati nelle strutture pubbliche individuate. Ma le colture di cellule (staminali o meno che siano) sono prodotti medicinali, come da legge Europea oltre che nazionale. Quindi, le cellule devono essere coltivate nelle cosiddette cell-factory, che applicano le norme GMP (Good Manufacturing Practices). Le cellule mesenchimali, coltivate secondo gli standard GMP, verrebbero a costare almeno 30mila euro a coltura, quindi almeno 7,5 milioni di euro per i 250 pazienti siciliani. Naturalmente questa cifra sarebbe destinata a crescere, perché non è dato di sapere quante infusioni saranno eseguite per ogni singolo paziente. Si parla di un minimo di cinque, quindi il costo calcolato potrebbe tranquillamente quintuplicare: 37,5 milioni di euro, solo per i pazienti siciliani in attesa.
Tenendo una media, per difetto, di 250 pazienti per Regione si raggiungerebbe un totale nazionale minimo di 150 milioni di euro. A cui vanno naturalmente sommati i tre milioni già stanziati per la sperimentazione e i costi vivi legati alle operazioni cliniche per la somministrazione della "non terapia", ovvero trasferimenti dei pazienti, carotaggi, ricoveri, infusioni, personale medico e infermieristico, esami diagnostici, ecc.
Se poi pensiamo che Stamina ha dichiarato di aver già avuto 25mila richieste di trattamento, e le moltiplichiamo per i 30mila euro a coltura in GMP otteniamo una cifra impressionante: 750 milioni di euro. Per un solo trattamento a malato. Ma il "metodo" Stamina propone un minimo di cinque inutili infusioni per malato ed ecco che arriviamo a circa quattro miliardi di euro.
Stiamo ragionando sempre per difetto, perché Stamina sostiene che tutte le patologie rare (oltre 7mila) possono essere trattate col miracoloso metodo – a volte detto efficace, altre compassionevole. Si parla di svariate decine di miliardi di euro. Tutti a carico del Sistema Sanitario Nazionale che, sappiamo tutti, non gode di splendida salute.
Ma le cell-factory autorizzate in Italia sono soltanto 13. Quindi dovremo presumibilmente aggiungere anche la costruzione di cell-factory dedicate (che richiedono un investimento iniziale, solo per l'allestimento e l'equipaggiamento di svariati milioni di euro), e i costi per il loro mantenimento, che sono calcolabili, a spanne, in 500mila euro l'anno per la sola gestione, oltre alla assunzione e formazione di personale qualificato.
Dove si troveranno i soldi per pagare questa "non terapia"? Troppe volte si è parlato di gratuità di tali presunte cure. Ma per chi? Certo, per i pazienti. Ma qualcuno dovrà sostenere queste spese. Chi? Stamina? Difficile, vista l'entità delle cifre. Medestea che la sovvenziona? Difficile anche questo. Potrebbero forse farlo inizialmente, poi si tirerebbero indietro e sarebbero le Regioni, già in forti difficoltà finanziarie, a dover farsi carico dei costi, perché i pazienti pretenderebbero, continuando a ricorrere ai giudici, di ricevere lo stesso trattamento dei pazienti che li hanno preceduti, e che la TV dice che è una cura. E presumibilmente lo otterrebbero, in base alle recenti interpretazioni giurisprudenziali della Costituzione, per cui non sarebbero ammesse discriminazioni nell'accesso alla salute, confondendo il diritto alle cure certe con il diritto ad "una cura" – anche quando la cura non c'è.
Perchè il metodo Stamina non è una cura. I costi del "metodo" sono reali. Così come sono reali i potenziali guadagni legati al suo sviluppo. Il metodo Stamina rimane invece una illusione (neanche una speranza) per la pletora di malati rari affetti dalle più svariate patologie che nulla hanno a che fare con le cellule staminali mesenchimali.
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