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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 08:41.

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Il primo a vincere il Nastro Azzurro, record di velocità media di attraversamento dell'Atlantico, fu il Sirius, nel 1838. Poche ore dopo aver attraccato a New York, il piroscafo inglese fu raggiunto dal rivale Great Western: per aggiudicarsi la competizione «il comandante Roberts aveva dato ordine di bruciare qualunque cosa non fosse indispensabile, inclusi gli arredamenti di bordo, e aveva dovuto minacciare con la pistola alcuni membri dell'equipaggio». Anche l'Italia conquistò il prestigioso premio esattamente 80 anni fa: era l'11 agosto 1933; il Rex arrivò in America in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti, a una velocità media di 28,92 nodi. La breve e gloriosa vita del transatlantico – gioiello del mare, vanto della marina come del regime fascista che lo concepì – è ora oggetto della mostra «Il mito e la memoria» a Palazzo San Giorgio a Genova, il cui catalogo è in libreria per i tipi di Silvana Editoriale. Curato da Paolo Piccione, l'opulento volume raccoglie molti interventi critici e storici sull'Italia degli anni 30 e 40; ricostruisce le peripezie delle due "frecce del mare", Rex e Conte di Savoia; contiene dati e numeri originali, dal personale imbarcato ai tempi di costruzione, dai bollettini ufficiali alle prime notizie di agenzia, più un ricco corredo iconografico: fotografie d'epoca, manifesti e brochure, memorabilia e suppellettili, porcellane e portaceneri (sul Rex ne esistevano addirittura quattro modelli differenti).
La più grande nave passeggeri di linea italiana fu progettata e costruita nel cantiere navale Ansaldo di Genova-Sestri Ponente e nello stabilimento meccanico di Sampierdarena: varata nel 1931, entrò in servizio nel 1932 e un anno dopo era già il simbolo della fascistissima grandeur nel mondo. All'Expo di Chicago del '33 il padiglione italiano «si guadagnò un posto d'onore sulle pagine della guida ufficiale»: architettonicamente somigliava a una grande aviorimessa, con il profilo di un aeroplano, di un transatlantico e di una locomotiva. Lì vi atterrò trionfante Italo Balbo, dopo aver guidato una flotta di idrovolanti dall'Italia all'America. E «in una sorta di involontario passaggio del testimone», racconta Ferdinando Fasce, «mentre i velivoli rientravano in patria, il Rex salpava da Genova alla volta di New York, per la traversata che sarebbe stata coronata dal conseguimento del Nastro Azzurro». In quegli anni si toccò «l'apice della fama americana del duce», che si adoperò molto, anche economicamente, per rilanciare la tecnologia nazionale e creare il mito delle navi veloci. Il quotidiano «Il regime fascista», fondato da Roberto Farinacci, attribuì esplicitamente al transatlantico «una luminosa vittoria fascista... È la patria che viaggia, è la patria che si presenta ai suoi figli lontani».
Il Rex assurse a icona dell'intera nazione, paradossi inclusi. Matteo Fochessati vede nell'estetica del bastimento una metafora della discrepanza, tutta fascista, tra modernità e conservazione, futurismo e passatismo, avanguardia rivoluzionaria e patriottismo piccolo-borghese: «Questa dicotomia appare evidente anche a bordo del Rex, i cui interni, in contraddizione con la modernità della concezione ingegneristica della nave, erano ispirati a stili tradizionali, come nel caso del gigantesco salone delle feste, improntato al gusto artistico settecentesco». Aspre furono le critiche dei contemporanei; Massimo Bontempelli scrisse: «Ci si son messi anche i decoratori e gli architetti, e non so come Dio non li fulminasse!», mentre il progettista Ferdinando Reggiori chiese: «Si può allestire e arredare un transatlantico alla stessa stregua di un palazzo di terra?». Ma dopotutto, il Rex era un Grand Hotel sull'acqua, capace di ospitare 2046 passeggeri, con tanto di tipografia, lavanderia, stireria, cinema, orchestra, centro sportivo, negozi e biblioteche, una per ciascuna delle tre classi (Moravia, ad esempio, si trovava solo in seconda), con oltre 3 mila volumi, molti dei quali in inglese per la nutrita clientela anglofona.
Folto era pure l'equipaggio: 810 lavoratori tra personale di bordo, di coperta, di macchina e alberghiero, tutti rigorosamente soggetti ai controlli della polizia politica. Ma il reato più comune sul Rex era il traffico di valuta, in verità «innocue rimesse di emigranti», spiega Alfonso Assini. «Il caso più eclatante accadde il 1° aprile 1939 quando, nella cabina del cappellano di bordo Mons. Cassani, vengono rinvenuti «n. 6 biglietti a Lit. 1000 e dollari 95 in biglietti», in buona parte nascosti dentro una calza». Tra gli incidenti in mare, oltre alle «lamentele per la cattiva preparazione della salsa di condimento della pasta asciutta», val la pena ricordare «un'aggressione a scopo di stupro, subita da una cameriera da parte di un collega, ma poi derubricata a "colluttazione" e messa a tacere». Effimera fu la vita del (e sul) Rex: il suo 8 settembre si consumò nel 1944, quando venne bombardato dall'aviazione alleata al largo di Capodistria. Si incendiò e si accasciò su un fianco, come un animale qualunque. Ci vollero 10 anni per demolirlo; «tuttavia a Semedella giace ancora oggi il suo doppiofondo, meta privilegiata per i subacquei nelle acque istriane». Nessuno ormai ricorda più i versi di Romolo Tarquinio Parodi: «E tu, titano, che all'amplesso aspiri/ de l'onde azzurre il tuo trionfo affretta».
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Transatlantico Rex. Il mito
e la memoria, a cura di Paolo Piccione, Silvana Editoriale, pagg. 264, € 34,00; l'omonima mostra, a Palazzo San Giorgio a Genova, prosegue fino al 12 ottobre

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