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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2013 alle ore 08:34.

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Vi ricordate quando la tv era "deficiente", secondo la celebre definizione di Franca Ciampi, moglie dell'allora Presidente della Repubblica? Era il 2001 e, snobismi a parte, la tv italiana era davvero uno strumento di rincretinimento nazionale e, cosa non meno grave, di una noia mortale. La signora Ciampi però non sapeva che negli Stati Uniti era già cominciata una rivoluzione artistica capace di osare, di rompere gli schemi narrativi e di trasformare la televisione – ok, non tutta – da strumento "deficiente" a mezzo della creatività più innovativa e meno convenzionale.

Altro che "deficiente", un decennio dopo è quasi banale ripetere che le serie televisive sono migliori dei film: non esiste nessuno, in natura, che possa essersi appassionato ai vincitori degli ultimi due Oscar, The Artist e Argo, più che a Scandal o a Homeland. Ma se a ribadire il concetto è un gigante della cinematografia colta come Bernardo Bertolucci, be', qualche effetto continua a farlo: «I film che mi piacciono adesso non arrivano da Hollywood, ma dalle serie tv – ha detto all'American Academy di Roma – Penso a Mad Men, Breaking Bad, The Americans». A Bertolucci piace molto che ciascuna di queste serie duri 13 episodi e che poi subito dopo ne arrivi un'altra di ulteriori 13 puntate a soddisfare la sua passione di spettatore, come accadeva ai lettori dei romanzi di appendice pubblicati dai quotidiani alla fine dell'Ottocento.

Eccolo, il punto. Le serie tv non sono soltanto più belle e avvincenti dei film, sono molto di più. Sono la forma d'arte emblematica di questo inizio di Ventunesimo secolo. Sono il prodotto di una rivoluzione creativa iniziata nel 1998 con i Soprano di David Chase sul canale americano a pagamento Hbo. Sono la Nuova Letteratura.

Le serie tv sono l'equivalente contemporaneo delle opere di John Updike, Philip Roth, Saul Bellow, Martin Scorsese, Robert Altman, Francis Ford Coppola, come ha scritto Brett Martin in un bel libro appena pubblicato in America e intitolato Difficult Men – Behind the Scenes of a Creative Revolution: From The Sopranos and The Wire to Mad Men and Breaking Bad. Gli «uomini difficili» del libro non sono soltanto i protagonisti delle serie, ma anche l'avanguardia di questa ondata creativa: gli showrunner delle serie che hanno cambiato la tv. Autori geniali capaci di pilotare i giovani talenti in un processo di scrittura che è allo stesso tempo collettivo e autoritario.

Salman Rushdie è arrivato a dire che le serie televisive sono il meglio dei due mondi, quello del cinema e quello della letteratura: «Al cinema lo sceneggiatore è un servo, un impiegato, mentre gli autori di serie tv come The Wire o Mad Men sono artisti dotati di un controllo sulla trama e sui personaggi che soltanto i romanzieri possono vantare».

Ha ragione, Rushdie. Gli autori di serie tv, grazie al mezzo a loro disposizione, raccontano meravigliosamente la tragedia umana del mondo moderno. Creano personaggi interessanti, uomini e donne infelici, complicati, moralmente compromessi, profondamente umani. Scrivono romanzi per la televisione, suddivisi in episodi invece che in capitoli. I riferimenti sono più letterari, da Balzac a Dickens, che cinematografici, tanto che la New York Review of Books ha scelto il critico super colto Daniel Mendelsohn per affrontare il caso Mad Men con un lungo saggio letterario-televisivo (molto negativo) e che poi ha fatto scuola.

Abbiamo chiesto quindi ai migliori scrittori e romanzieri italiani di celebrare questa rivoluzione culturale raccontandoci in modo esteso la loro serie preferita. Ne è uscito un catalogo letterario straordinario, divertente e spigoloso, senza sovrastrutture sociologiche. Abbiamo compilato anche una guida con tutte le novità della prossima stagione (sono 117) e ci siamo divertiti a giocare con i personaggi e le storie ideate dai nuovi letterati, fino a scegliere la migliore serie tv dell'anno e la più bella di sempre. Buon divertimento.

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