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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2013 alle ore 08:38.

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Il diario giovanile di Luciano Barca (1920-2012), padre di Fabrizio, si apre con una pagina premonitrice. Siamo nel marzo '37. Luciano è alla clinica romana Quisisana, in visita a sua madre, operata alla cistifellea. Il primo piano pullula di agenti. Alla fine del corridoio è infatti ricoverato un «sovversivo», molto malato. L'indomani, il sorvegliato speciale riuscirà comunque a fare qualche passo fuori dalla camera: «è un uomo basso, spettinato, con il corpo deformato da due gobbe». A fatica, appoggiandosi al muro con un dito, percorre sino in fondo la lunga corsia, per poi tornare indietro: «prima di entrare nella stanza ci guarda e ci sorride». Quell'uomo era Antonio Gramsci, spirato il 27 aprile dello stesso anno. L'ultima pagina diaristica, invece, coglie Luciano mentre si reca alla sezione Salario di via Sebino, per iscriversi al Pci. È il novembre 1945. Da lì spiccherà il volo per una brillante carriera di giornalista, economista, dirigente (vicino a Berlinguer) e parlamentare (sette legislature).
In mezzo, ovviamente, c'è la seconda guerra mondiale. Il diario (ora riproposto dal Melangolo) diventa allora il brogliaccio di bordo di un ufficiale imbarcato sui sommergibili della Decima Mas. È la storia di «una guerra ritenuta sbagliata» (ottobre 1941), ma combattuta con coraggio e dignità, seguendo un solo imperativo: «fare ciò che mi viene chiesto od ordinato, purché non vada contro la mia coscienza morale». Ma è anche un tributo alla Regia Marina, una palestra di vita incisa nel marmo, «per la supplenza che essa ha esercitato, quando quasi tutta l'Italia era res nullius, nel concetto e nel ruolo di patria».
Non mancano aneddoti pungenti. Durante una cena fra ufficiali, nell'autunno '41, uno di loro si alza, per ribaltare verso il muro un ritratto di Mussolini: «Non capisco perché dobbiamo averlo di fronte mentre ceniamo». A pronunciare queste audaci parole è lo stesso comandante che ispirerà a Mario Tobino il personaggio dell'«ammiraglio Saverio», nel romanzo Il clandestino.
L'ora decisiva per oltrepassare la conradiana «linea d'ombra» scocca il 10 settembre '43, al largo della Corsica, due giorni dopo l'Armistizio. Il ventitreenne Barca si ammutina al proprio superiore, in procinto d'arrendersi a una silurante tedesca. L'equipaggio si schiera a fianco del giovane ufficiale, che trascorrerà così l'ultimo scampolo di guerra agli ordini della Royal Navy. Grazie agli Alleati, Barca scoprirà le scatolette di meat and vegetables, oltre ai «misteriosi prodotti liofilizzati con cui fare non solo caffè, ma anche tremolanti budini». Dopo il 25 aprile '45, sarà la volta di Torino, dove sostituisce Felice Balbo, in forza alla «sinistra cristiana» di Franco Rodano. È il prodromo del suo ingresso nel Pci, a fine anno. Ma Torino è anche la città dell'incontro con i «partigia»: Massimo Mila, Franco e Gigliola Venturi, Ada Gobetti, Alessandro Galante Garrone. L'embrione di una classe dirigente oggi pressoché estinta.
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Luciano Barca, Buscando per mare con la Decima Mas, il Melangolo, Genova, pagg. 144, € 15,00

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