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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2013 alle ore 08:41.

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Non si conosce attività del cervello con un ensemble tanto vasto di neuroni e sinapsi come la musica. Nel cervello di chi suona sono attive aree della sensibilità acustica, della memoria, dell'emotività, del movimento, del senso del tempo e dello spazio e parti del cervelletto, organo dell'armonia e della memoria dei movimenti. Attraverso l'ipotalamo, la musica suscita fenomeni neurovegetativi anche intensi come pallori, palpitazioni, brividi. Nozze e funerali sono commoventi, ma le lacrime sgorgano di solito quando comincia la musica. Igor Strawinsky confida, nella Poétique musicale sous forme de six leçons, che quando componeva, dirigeva o ascoltava musica, la viveva come una ricerca dello spirito nella sua interezza, nella completa disponibilità dei sensi, delle capacità psichiche e della forza dell'intelletto.
Nel mondo non ci sono suoni e nelle orchestre non c'è musica, ma vibrazioni d'aria che il cervello trasforma in stimoli elettrochimici. Suono e musica sono trasfigurazioni mentali della realtà. La musica è un ordine particolare che il cervello dà ad una sequenza di suoni. Per Karlheinz Stockhausen essa è la rappresentazione uditiva dell'ordine delle cose nel tempo. La musica ha una vasta rappresentazione cerebrale non verbale estranea alle asserzioni di verità e d'etica con le quali la corteccia prefrontale organizza la razionalità. Per Vladimir Jankélévitch «La musica è il silenzio della parola come la poesia è il silenzio della prosa: alleggerisce la pesantezza del logos e impedisce all'uomo d'identificarsi con l'atto del parlare.Essa è sorta come via universale per penetrare, senza la mediazione della riflessione e del linguaggio, nelle pieghe altrimenti inafferrabili della vita. Essa esprime gioia e amore, malinconia, tristezza e rassegnazione, impeto e entusiasmo. L'adagetto della quinta sinfonia e il sehr langsam (lentissimo) alla fine della nona sinfonia di Gustav Mahler esprimono struggimento, malinconia, tristezza rassegnata, e, nella nona, l'avvicinarsi del quasi niente e poi del silenzio, per sempre. Non c'è opera letteraria, anche la più alta come quella d'Omero o di Shakespeare, che faccia sentire il senso della fine come la musica. «Tutto ciò che finisce e comincia», dice Jankélévitch, «la nascita che è la morte appartengono al regno della musica».
Nei neonati da uno a tre giorni, ha scoperto la scienziata Daniela Perani, una musica gradevole attiva aree dell'emisfero cerebrale destro, specie nel lobo temporale e nell'insula. Il cervello dei neonati apprezza le ninne-nanne, la prima esperienza con l'enigma e l'astrazione della musica. Se il suono è stridente, si attivano aree frontali e temporali e l'amigdala a sinistra, cioè meccanismi di ripulsa. L'asimmetria funzionale rimane per sempre. L'esperienza musicale induce nel cervello una grammatica musicale che è la base dei nostri rapporti con la musica, come interpreti e come ascoltatori. La musica che amiamo è elaborata dal lobo temporale destro.
Il sassofonista melodico Sonny Rollins soggiogò il pubblico di Berkeley improvvisando per tre minuti e mezzo il suono di una sola nota con un ritmo sempre diverso. Il neuroscienziato e musicologo Daniel Levitin considera l'episodio un esempio della potenza d'associazioni emotive che può suscitare una sola nota. L'esperienza musicale forgia strutture nervose continuamente modificate dall'ascolto e dal riascolto. Più si ascolta musica, e più se ne sentono messaggi ed espressioni diverse. Ciò avviene in virtù di due fenomeni fondamentali della vita fisica e mentale, la neurogenesi e la neuroplasticità. La neuroplasticità è la continua riorganizzazione d'aree cerebrali determinata dal caso e dall'esperienza, la neurogenesi è la produzione di nuove cellule nervose. Il cervello di chi si applica intensamente alla musica, specie se da prima dei sette anni, diviene un organo particolare. La metà anteriore del corpo calloso, la struttura che coordina i due emisferi, è più ampia per la maggior coordinazione delle estremità (specie delle mani) che suonano. Nei pianisti la corteccia uditiva del lobo temporale, già dopo le prime esercitazioni, ha un collegamento con l'area motoria della mano. Se un pianista sente un piano-forte, nel cervello si attivano aree uditive e quelle motorie delle mani, che non si muovono. Ciò non succede se chi ascolta non è pianista. Suonare uno strumento richiede l'autoregolazione di meccanismi della sensibilità, del movimento e della memoria. Nei cervelli dei musicisti è particolarmente sviluppato il lobo parietale, specie a destra. Esso è l'interfaccia fra l'esperienza sensoriale (la visione dello spartito, il tocco dei tasti, della bocchétta, delle corde) e quella motoria. Musicisti esperti sentono sinfonie e opere liriche leggendo gli spartiti, senza l'inconveniente, ironizza qualcuno, d'esecuzioni mediocri o sbagliate. Come tutti i contenuti della coscienza, la musica rimane, diceva Claude Lévi-Strass «il supremo mistero delle scienze umane».
Con la musica, dice un detto popolare, tutto va meglio. Per questo siamo immersi nella musica, anche quando se ne farebbe volentieri a meno. La natura astratta della musica può facilitare lo sviluppo intellettuale, come il bilinguismo. Dal momento che i meccanismi nervosi della musica sono distribuiti in tutto il cervello, è ovvio il suo effetto benefico come coadiuvante nella cura di malattie alla cui base c'è un disturbo della coordinazione fra aree cerebrali. Con la musica si aiutano in misura notevole pazienti d'ogni età con disturbi della sensibilità, del comportamento e della socialità, con emiplegie, afasie, atassie, disagi psichici e mentali come l'autismo. L'attività di «Esagramma», diretta dalla musicista e psicoterapeuta Licia Sbatella, è esemplare: quaranta giovani con problemi psichici e mentali, assieme con trentacinque suonatori professionisti, sono in grado di suonare, nel concerto del 14 settembre al teatro Parenti di Milano, brani di Mahler, Dvorak e Beethoven. La musicoterapica è veramente «love in action», come la definì la musicoterapista Edith Boxill.

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