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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2013 alle ore 08:43.

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Nel discorso pronunciato alla cerimonia del Nobel, García Márquez volle fugare l'idea di un'America Latina dall'immaginazione fervida che partorisce una realtà che eventi fantastici rendono magica. Quella dell'America Latina, chiarì lo scrittore, è una realtà, «che vive con noi e che decide in ogni istante sulle nostre innumerevoli morti quotidiane, e che sostiene una sorgente creativa insaziabile, piena di sventura e di bellezza. Poeti e mendicanti, musicisti e profeti, guerrieri e malandrini, sono tutte creature di quella realtà smisurata: abbiamo dovuto chiedere molto poco all'immaginazione, perché la sfida maggiore per noi è stata l'insufficienza delle risorse convenzionali per rendere credibile la nostra vita. Questo è, amici, il nodo della nostra solitudine».
Mancanza di credibilità e solitudine, queste sono le questioni cruciali di un mondo che vuole avere un ruolo ed essere padrone del proprio destino.
Le lotte per l'Indipendenza (1810-1824) furono appunto il tentativo di dare fisionomia a una soggettività negata fin dalla Conquista che escludeva l'America Latina – la locuzione è della seconda metà del XIX secolo – da tutto. I Libertadores, i Liberatori, espellono i Conquistadores, i Conquistatori, essendo protagonisti dello scontro. Essi riuniscono le caratteristiche del condottiero, la complessità fondante del progetto libertario e sono l'immaginario di un territorio che «riceveva tutto dalla Spagna», che ne impediva i rapporti interni, inviava le autorità, fissava le leggi e perfino privava i nativi vecchi e nuovi «del piacere e dell'esercizio della tirannia attiva», dice Simon Bolivar nel Discorso di Angostura. Nella figura del Libertador Octavio Paz vede «il dittatore ispanoamericano in embrione», il che pone una questione tutta interna all'America Latina e ai suoi populismi non altrimenti specificati e apre, nello stesso tempo, una finestra sul rapporto condizionato da un esterno estraneo ai bisogni e alla crescita culturale e sociale delle popolazioni locali che potrebbero costituire un argine ai governi autoritari ed escludenti, se non dittatoriali.
Tra i Libertadores vanno ovviamente annoverati gli eserciti e i soldati ai quali Bolivar riconosce il titolo per aver combattuto «solo per la libertà».
La Rivoluzione cubana del 1959 e la vittoria di Playa Giròn – un'azione similare era stata condotta con successo dagli Usa nel Guatemala di Jacobo Arbenz (1954) – segnano la svolta e gettano le basi per una figura attualizzata di Libertadores anche nelle valenze contraddittorie segnalate. Ed è appunto il carattere anticoloniale del confronto a rinvigorire l'originario anelo verso la grande e comune patria latinoamericana nel nome di Bolivar, il primo a essere insignito del titolo di Libertador nel 1813, di José de San Martìn e del cileno O'Higgins. La rivoluzione cubana "latinoamericanizza" il conflitto con gli Usa sulla base di un'onnipresenza invadente che conferma il destino coloniale del continente a sud del Rio Bravo. Alla matrice originaria, sono stati assimilati nel frattempo i Libertadores come i messicani Hidalgo e Morelos, e l'uruguayano Artigas in quanto figure fondanti delle identità nazionali. E Libertador sarà José Martí, che sul finire del secolo XIX si collegherà idealmente a Bolivar enfatizzando l'appartenenza alla grande patria latinoamericana e, contemporaneamente, il pericolo incombente dell'espansionismo statunitense. Per tali ragioni Fidel Castro definirà Martì «autore intellettuale dell'attacco alla caserma Moncada» che segna l'avvio della Rivoluzione cubana. Con il colpo di Stato del Cile, Fidel Castro può collegare le lotte per l'Indipendenza iniziate con il Cabildo Abierto di Buenos Aires, con il ruolo neocoloniale degli Usa in America Latina. Nel ricordo del presidente cileno appena ucciso, egli affermerà: «Gloria eterna a Salvador Allende con il Che, con Martí, Bolívar, Sucre, San Martín, O'Higgins, Morelos, Hidalgo, Juárez e tutti i grandi uomini che hanno consacrato le loro vite alla libertà di questo continente!», collocando i Libertadores in un'unica lotta contro il colonialismo, ritenuto causa fondamentale delle condizioni difficili della regione.
Con le nuove vicende che registrano una partecipazione popolare e un carattere sociale, l'America Latina inizia a scrivere un'epopea accompagnata da una profonda disamina dell'essere latinoamericano. Al bolivariano Discorso di Angostura, segue La Nostra America di Martí, Ariel, di Rodò, Radiografia della pampa, di Martinez Estrada, La razza cosmica, di José Vasconcelos, e poi ancora Il labirinto della solitudine, di Octavio Paz, e Calibano di Fernandez Retamar, per nominarne solo alcuni. Anche Cent'anni di solitudine, partecipa all'epopea e alimenta la formazione di questa coscienza essendo la narrazione di un'inesorabile e tragica visione di una solitudine che condanna alla scomparsa.
La Vampata, l'ultimo dei cinque cantares scritto da Manuel Scorza che si ispira alle lotte (1960-62) dei comuneros, propone come gli altri cantari una nuova tipologia di eroe contadino. Siamo nella pampa di Junin, dove nel 1824 Simon Bolivar aveva dichiarato l'Indipendenza dell'America Latina. I comuneros rivogliono le terre loro sottratte da aziende fra cui la Cerro de Pasco. L'esito è scritto nelle storie tessute dalla cieca donna Añada che raccontano il futuro delle comunità in lotta e che Remigio Villena sa interpretare. Quando si imbattono nelle montagne di tessuti dove è scritto il futuro, Remigio «Intuì che era arrivato al futuro e lo rifiutò». Egli decide allora di bruciare tutto e a coloro che gli chiedono il perché, risponde: «Perché non voglio il futuro del passato, ma il futuro del futuro. Quello che io scelgo con il mio dolore e il mio errore».

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