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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2013 alle ore 08:41.

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Nella tradizione filosofica occidentale, almeno dalla scolastica in poi, i concetti di possibile e necessario, come quelli correlati di impossibile e contingente, sono stati considerati concetti modali e cioè relativi al modo d'essere e di presentarsi di enunciati o di proposizioni. Enunciati come «è possibile che ci sia vita su Marte» o «necessariamente la metà di un numero pari è un numero pari» sono possibilmente veri o possibilmente falsi, necessariamente veri o necessariamente falsi. Ma, relativamente a una loro formalizzazione e quantificazione, date anche le loro implicazioni temporali (come nel caso di «è possibile che domani piova»), tali enunciati comportano problemi del tutto peculiari che sono stati ampiamente affrontati da Aristotele, dagli stoici, dai logici medievali e poi da coloro che nel Novecento, da Prior a Lewis a Kripke, hanno ritenuto di poter sviluppare una semantica per concetti modali.
L'importanza di tali concetti, comunque, non concerne soltanto la logica, bensì anche la teoria della conoscenza e l'ontologia, quando ci si chiede per esempio se essi hanno a che fare con nostre aspettative e nostre «anticipazioni» della realtà o se invece descrivono proprietà di eventi o stati di cose «nel mondo»; e concerne anche un interesse etico-teologico, quando ci chiediamo se le nostre azioni dipendono da una nostra libera scelta tra varie possibilità reali o se invece sono determinate da qualcosa che ci obbliga al di là della nostra volontà e delle nostre intenzioni.
Oggi quei termini sono diventati anche le parole d'ordine di una controversia ideologica, se è vero che un Rorty, per esempio, impugna l'idea della contingenza del linguaggio, della contingenza dell'Io e della contingenza di una comunità liberale per propagandare una svolta neopragmatista ed ermeneutica in filosofia e se, di contro, i paladini del cosiddetto «nuovo realismo» obiettano appellandosi a quelle «necessità» che un rinnovato impegno ontologico dovrebbe far valere.
Rorty è anche un pensatore che, sulla scorta di Wittgenstein e di Derrida, intende liberare il «vocabolario» filosofico da quelle dicotomie (apparenza/realtà, mente/corpo, linguaggio/mondo) che hanno infettato la metafisica occidentale ponendosi come assolute e fondanti; ma evidentemente non può fare a meno della dicotomia contingente/necessario, che mantiene intatta la sua valenza esplicativa, euristica e, nel suo caso, anche simbolica.
Mugnai offre una trattazione storica di questi concetti-chiave esauriente e in buona parte originale (soprattutto per alcuni testi di non facile reperimento che si premura di citare e commentare ampiamente), mostrando come siano nati e si siano trasformati nel tempo, tracciando linee di continuità e di rottura tra mondo classico e contemporaneità, ma dando insieme anche il senso di una «crescita», con aspetti di irreversibilità, nel pensiero filosofico stesso.
Mugnai dichiara di privilegiare, nella sua trattazione, gli aspetti logico-gnoseologici e tiene volutamente in secondo piano i problemi teologici, morali e di filosofia pratica (che peraltro la stessa collana «Lessico della filosofia», che Massimo Mori cura per il Mulino, ha trattato alla voce «Azione» di Mario De Caro). Ma anche se sono le questioni logiche, di definizione e di chiarimento concettuale a essere centrali, ciò non toglie che parlare di possibilità e di necessità comporti di parlare anche di verità, di realtà, di apriori, di analiticità, di «mondi possibili» (così li chiamava Leibniz con una locuzione che ha alimentato anche l'immaginazione di tanti scrittori, come Borges per esempio), di determinismo, di libero arbitrio, di leggi scientifiche, di controfattuali, di essenze. Al punto che forse non aveva torto Quine quando paventava, dietro l'interesse crescente per le logiche modali e deontiche nella seconda metà del secolo scorso, un ritorno forte di metafisica.
Non entro, per mia incompetenza, nel merito delle tante questioni anche storiografiche ed esegetiche che Mugnai affronta, ma una considerazione generale mi viene spontanea alla fine di questa lettura assolutamente istruttiva.
La ripresa dell'ideologia ciceroniana degli studia humanitatis da parte dell'Ottocento tedesco ha fatto sì che venisse mitologizzata la continuità tra mondo greco-latino, «rinascita» delle humanae litterae nel '400 e modernità. Tale «immagine» della modernità, che relegava il Medioevo nei «secoli bui» e nella barbarie, ha un effetto duraturo, oltre che nella struttura formativa ancora humboldtiana dell'Accademia, nelle ricostruzioni identitarie delle tradizioni nazionali, soprattutto in Italia.
Quella che ci presenta Mugnai è un'altra modernità, che ha alimentato e che continua a nutrire la «metafisica» delle scienze naturali e che ha fatto della logica (in questo caso, complicandola, per render ragione anche di quelle «asserzioni variabili», come le chiamava Russell, rispetto al vero e al falso) il fulcro di quella razionalità che sottende i modi in cui si articola la nostra conoscenza. Con Boezio, Occam e Abelardo assai più «moderni» degli umanisti.
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Massimo Mugnai, Possibile/necessario, il Mulino, Bologna, pagg. 212, € 16,00

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