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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2013 alle ore 08:41.

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Nel 2010 arrivarono le prime scuse ufficiali, davanti alla prigione di Hindelbank. Poi lo scorso aprile, nel palazzo federale di Berna, il ministro della Giustizia Simonetta Sommaruga ha affermato che non si può continuare a far finta di niente e ha chiesto scusa a tutte le vittime. Queste però domandano a gran voce un risarcimento. Le autorità hanno istituito una tavola rotonda. La prima seduta, nel giugno scorso, ha avviato «l'approfondita ricostruzione dei torti subiti», prevista per il 2015. La seconda seduta, che si terrà il 25 ottobre - assicura Folco Galli, portavoce dell'Ufficio federale di giustizia - «commissionerà modelli per possibili prestazioni finanziarie e vaglierà le possibilità di sostegno pragmatico». Intanto, spiega Galli, «il Parlamento sta elaborando una legge per rendere giustizia alle persone internate sulla base di una decisione amministrativa». Spiega tuttavia che la Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale ritiene che la legislazione e la giurisprudenza del passato vadano «giudicate con molta cautela. Le leggi sono la fotografia dei valori sociali di un determinato periodo. Per il legislatore è quindi una questione delicata esprimersi, alla luce di una concezione moderna della protezione dei minori e degli adulti» e che dunque «partendo dal presupposto che le decisioni venissero adottate sulla base del diritto in vigore, la Commissione non intende lanciarsi in una critica a tutto spiano delle condizioni esistenti in quegli anni né di chi era chiamato a prendere decisioni o assumersi responsabilità; la sua intenzione è piuttosto quella di riconoscere la sofferenza e le ingiustizie che queste decisioni hanno causato alle persone coinvolte». Una posizione originale.
Al momento non è possibile sapere quante persone siano state sottoposte alle «misure di coercizione a scopo assistenziale», né sapere la durata media della reclusione o quante donne siano state sterilizzate, afferma Galli. Pierre Avvanzino, storico e professore ormai in pensione della Haute école de travail social et de la santé di Losanna, che sul tema ha scritto diversi libri (tra cui Enfance sacrifiée, Eesp, il pdf è accessibile online) stima che tra il 1970 e il 1980 80mila giovani vennero rinchiusi in vari istituti e 150mila ragazzini furono affidati a famiglie, soprattutto di contadini, che li facevano lavorare «a scopo educativo» (trascurando invece l'istruzione). «È un vecchio problema che risale almeno al XV secolo - dice Avvanzino -: l'idea che le classi povere, in quanto povere, siano pericolose perché l'indigenza può spingerle a delinquere, e l'idea che per preservare la società sia necessario costringerle a lavorare. Nel XIX secolo ogni città aveva una polizia che faceva arrestare la gente che viveva per la strada. Inizialmente filantropi di estrazione borghese furono incaricati di decidere chi andava rinchiuso o affidato a una famiglia, poi negli anni 1930-1970 emerse la figura del "giudice di pace", anche se spesso si ricorse ancora ai filantropi per imprigionare persone considerate un "pericolo morale"».
«L'idea - continua Avvanzino - era che con il lavoro si potesse insegnare l'obbedienza e l'uomo potesse purgare i suoi peccati». «Era un modo di pensare diffuso in tutta Europa» afferma lo storico, che poi però osserva: «certo, fu il cantone di Vaud il primo parlamento europeo a votare, all'inizio del XX secolo, la sterilizzazione forzata delle persone con un handicap mentale». È questo un altro capitolo oscuro e inesplorato della storia svizzera. «Si dedicano tanti studi ai grandi pedagoghi, ma ben pochi alle loro vittime» ironizza Avvanzino, aggiungendo poi che «non si fa molta carriera in università studiando i poveri e gli emarginati». Fare luce non sarà facile: molti archivi delle istituzioni pubbliche o private in cui venivano rinchiusi gli internati amministrativi sono stati distrutti, «per nascondere l'accaduto, o solo perché le storie di poveri non interessano a nessuno e occupano molto spazio», spiega lo storico. Lui s'imbatté in un archivio dimenticato in una soffitta e su questo scrisse un libro nel 1993, Histoires de l'éducation spécialisé (1827- 1970), che solo oggi comincia a essere citato.
La sua ex collega Genevieve Heller crede però ci sia il rischio di dare una visione distorta della storia sociale della confederazione elvetica «poiché oggi emergono solo le testimonianze negative, mentre probabilmente ci furono anche persone che vennero trattate bene e aiutate, soprattutto quando col tempo il personale divenne più qualificato e i fondi pubblici aumentarono» afferma, sottolineando come negli anni il diritto della persona sia diventato prioritario rispetto alla «protezione della società» e come il modo di guardare all'infanzia si sia evoluto: «un tempo gli orfani, i figli di madri nubili, di genitori divorziati, i ragazzi difficili, i piccoli delinquenti erano ignorati, o emarginati, o presi in giro e messi in fondo alla classe. Ora non è più così, ma questo trattamento probabilmente oggi lo ricevono i figli dei rifugiati, dei clandestini, dei rom. La gente non si sente a suo agio con loro e distorce lo sguardo».
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