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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2013 alle ore 20:12.

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Arriva il giorno del documentario con le Femen e Rumsfeld.Arriva il giorno del documentario con le Femen e Rumsfeld.

In tempi di rivoluzione del linguaggio cinematografico, Venezia la cavalca e nel giorno di Gianni Amelio stupisce con due documentari. Più dell'opera del cineasta italiano e di quella de La promesse di Patrice Leconte, infatti, colpiscono The Unknown Known di Errol Morris su Donald Rumsfeld e Ukraina is Not a Brothel (L'Ucraina non è un bordello) sul movimento delle Femen. Senza nulla togliere all'autore francese, il cui lungometraggio è stato selezionato Fuori concorso, che racconta il suo "solito" melodramma senza però coglierne il carattere epico e tragico della novella di Stefan Zeig da cui è tratto, vale la pena approfondire due documentari che di sicuro faranno discutere.

Errol Morris, in concorso, ci propone un'intervista all'eminenza grigia della destra statunitense degli ultimi 40 anni, il ragazzo prodigio poi divenuto grande vecchio Donald Rumsfeld. La coscienza guerrafondaia a stelle e strisce, l'uomo che dalla guerra fredda con l'Urss al conflitto contro l'Islam ha sempre usato il pugno duro contro i nemici, fossero superpotenze o stati canaglia.

Ne nasce un prodotto cinematografico enigmatico e affascinante: se infatti dal punto di vista estetico lascia a desiderare, se l'aspetto politico non soddisfa perché lacunoso, è il lato antropologico di questa "sfida" che cattura. Rumsfeld qui sembra l'Andreotti di Sorrentino, un equilibrista della parola – ama i paradossi linguistici e le battute ad effetto -, non quel teorico (e pratico) dello scontro frontale che conosciamo, insieme all'amico e sodale Dick Cheney. E in alcuni momenti si arriva a risposte quasi beckettiane con cui l'ex Segretario della Difesa svicola dai temi principali con momenti di comicità pura, come una sorta di sfinge grottesca il cui sorriso passa dall'essere innocuo e senile a inquietante. E non capisci mai, tra i due, chi manipola chi.

Più convenzionale, ma incentrato sulla manipolazione anch'esso, è Ukraine is Not a Brothel. Kitty Green, 28enne australiana, decide di raccontare il movimento femminista più visibile degli ultimi anni. Per i pochi che non lo conoscono, è quel gruppo di splendide ragazze che protestano in topless contro ogni fenomeno di machismo. Poteva scegliere il sensazionalismo o l'agiografia, la Green, e invece decide di entrare dentro i meccanismi ambigui di quello che loro stesse definiscono spesso "prodotto" e "marca" e non movimento. Con una struttura narrativa efficace cominciamo a conoscere le star del gruppo, piano piano andiamo a fondo di psicologie fragili e contraddizioni, e a metà del film la cineasta piazza la bomba. Si chiama Victor. Un improbabile istrione che, come Rumsfeld, parla per paradossi, arrivando ad ammettere che sì, forse ci guadagna parecchio da questo movimento, che sì è il patriarca di chi combatte il patriarcato (ma "è indubbio l'apporto che do loro"), che sì all'inizio tutto nasceva dal fatto di poter sedurre belle ragazze.

Tutto così si trasforma in un teatro dell'assurdo, in cui le ragazze si confessano con ingenua innocenza e Inna, l'unica di loro ad avere uno spessore, provoca una crepa in questo meccanismo politico-economico di marketing. La goliardica opposizione anti-ideologica al maschilismo diventa, davanti ai nostri occhi, un grande inganno ma, allo stesso tempo, si sente che dentro le militanti una consapevolezza diversa seppur acerba si fa strada, dalla superbionda che capisce di essere una schiava liberata da uno schiavista all'unica esteticamente non piacente, che con un'espressione sempre più malinconica comprende di essere strumentalizzata. Kitty Green fa centro, insomma, forse anch'ella usando le armi di Victor, ovvero la manipolazione e il carisma.

Questo è il cinema che ci piace, che insinua domande e dubbi dove le risposte sembrano facili e preconfezionate, che sa rompere gli schemi e le icone con uno sguardo diverso. E che sia una giovane donna a farlo caratterizza ancora di più un festival di Venezia numero 70 sempre più al femminile.

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