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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2013 alle ore 14:59.

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Sul piano inclinato di una catastrofe nel cuore della Berlino anni '30

Sarà per una questione di deformazione professionale da attempato cronista, ma la scrittura di Christopher Isherwood colpisce sin dalle prime pagine per la mirabile capacità di descrivere con pochi, essenziali tratti di penna la straordinaria complessità dell'universo che lo circonda. E che la Berlino degli Anni Trenta al tramonto della Repubblica di Weimar sia stata un groviglio di fosche contraddizioni è fatto consegnato alle pagine più buie della storia umana.

L'addio di Isherwood, ciò che rimane di un lungo romanzo epistolare che l'autore voleva chiamare The Lost, è tuttavia ben lontano dal cupo assemblaggio di un certificato di morte di una delle grandi capitali del mondo. E' piuttosto un resoconto delle peregrinazioni berlinesi di un giovane insegnante d'inglese, più disposto all'ironia e al sorriso, ma ben capace di graffiare, da pensioni di quart'ordine a raffinati alberghi, da catapecchie dei quartieri poveri a dimore signorili della borghesia mercantile, da eccentrici cabaret a malandate bettole. Scrittore al quale l'autore concede il suo stesso nome, quale "comodo fantoccio d'un ventriloquo".

Se tragedia c'è stata, eccome se c'è stata e di quali immani dimensioni, essa è nella sequenza di fatti di vita ordinaria narrati con umana compassione, ma senza indulgenze. I protagonisti vivono come su un piano inclinato, senza neppure sapere per quale ragione stanno correndo verso la catastrofe.

La stupefacente Fräulein Schroeder un tempo andava in vacanza sul Baltico con la cameriera. Ora, nel 1930, sopravvive da pigionante e s'aggira con passi felpati in una dimora che puzza di un misto d'incenso e di pane stantio che affiora alle narici del lettore, tanto la narrazione è densa e coinvolgente. È lei che vota per i comunisti e dopo soli tre anni cambierà idea come un animale che cambia il pelo ai primi freddi e nominerà con reverenza Hitler "ciacolando con la moglie del portiere".

Che dire di Sally Bowles, aspirante attrice dagli occhi neri e maliziosi, "talmente calda che ti scotti", come dice di lei l'amico Fritz, che mostra più talento sulle scene della vita che sui palchi del cabaret? Col suo fare disinibito, con le bugie usate a man salva, coltiva sogni irrealizzabili e insegue l'amore della vita vagando per la città.

E Fräulein Mayr, prostituta discreta? Finirà in Olanda in pensioni mal riscaldate, confortata solo da un raffinato vedovo che le regalerà un bel completo di biancheria intima.
La ricerca perpetua della propria identità perduta o mai trovata assimila uomini e donne agli antipodi, dal giovane proletario Otto sino a Bernard Landauer, ricco commerciante, colto e sensibile, che sparirà nel nulla,inghiottito da uno dei tanti casi di morte per arresto cardiaco che nei tempi del nazismo trionfante colpiranno migliaia di ebrei, ben prima dei milioni scagliati nell'abisso della soluzione finale.

Isherwood, racconta questi e altri tipi umani senza affondare la lama di una facile e scontata critica e mette alla berlina anche il proprio io narrante. Non è giudice nè confessore, ci aiuta solo a capire quanto la banalità del male sia un albero che cresce e trova alimento in terreni di coltura quali le grandi crisi economiche che si abbattono su mondi afflitti dal senso venefico di una presunta grandezza.

Perciò Addio a Berlino ha il valore di grande testimonianza oltre che di pregevole opera letteraria, tanto da far scaturire musical e il celeberrimo film Cabaret di Bob Fosse, interpretato da un'irresistibile Liza Minnelli. Ci descrive un mondo dall'apparente solidità che non s'avvede del tarlo fatale che lo consuma.

Christopher Isherwood
Addio a Berlino
Pagg. 252, euro 18
Adelphi editore

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