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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2013 alle ore 08:03.

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Settant'anni di Roger Waters, bassista e condottiero dei Pink Floyd

Anche i condottieri invecchiano. Nel caso di George Roger Waters - bassista, paroliere, qualche volta cantante ma soprattutto ideologo dei Pink Floyd che compie 70 anni il 6 settembre - l'epiteto marziale calza a pennello. Sarà per il sangue di suo padre, ufficiale dei fucilieri di Sua Maestà morto da eroe nella battaglia di Anzio, sarà perché ha sempre dettato la «linea» alla band, persino quando non ne era ancora il leader riconosciuto, sarà perché siamo sicuri che, da perfetto combattente, non perderà certo tempo a spegnere le candeline.

Zio Roger è fatto così: crede in sé stesso, nella funzione civile della propria arte, nel duro lavoro di tutti i giorni. È, più di ogni altro, il volto serio, intellettuale ed engagé del rock britannico. Chi cerca lumi a riguardo, scorra le pagine della sua biografia di geniale «ordinary man». Nativo di Great Bookham, cittadina del placido Surrey, cresce a pane e disciplina con la madre vedova, severa insegnante di fede laburista che per motivi di lavoro porta presto i suoi due figli a Cambridge, centro universitario ed enclave di giovani di buone letture.

Non poteva esserci posto più stimolante per Roger che, brillante e curioso in fatto di arte, ai tempi del liceo lega con il ragazzo più sveglio in circolazione: tale Syd Barrett. Per completare gli studi si sposta a Londra, dove tra i banchi del Politecnico di Regent Street fa amicizia con altri due giovani artistoidi aspiranti rivoluzionari: Nick Mason e Richard Wright.

La genesi dei Pink Floyd
Sono i primi anni Sessanta e in Inghilterra, sull'onda lunga della Beatlemania, chi ambisce a fare la rivoluzione va a finire che fonda una band. Syd suona la chitarra, scrive canzoni, sa cantare ed è pure bello e maledetto. Si tira dietro Roger, Nick e Rick in un progetto musicale che deve partire blues ma arriva psichedelico: the Pink Floyd. Il gruppo, tra l'Ufo Club e le prime prove discografiche, ci mette poco a imporsi come colonna ultrasonica della controcultura londinese. Waters fa il gregario onesto e laborioso, con in mano uno strumento che nemmeno padroneggia. Ma tra i ragazzi è quello che parla meglio, dote che lo abilita da subito a portavoce con la stampa. Chi come lui è intelligente capisce presto che la comunicazione è potere.

L'inarrestabile ascesa del paroliere
Quando, ai tempi di «A saucerful o secrets», Barrett inacidisce sino a perdere completamente il lume della ragione, il verdetto di Roger riuscirà decisivo nella scelta della band di affiancare prima e sostituire poi l'ormai ex leader con l'affidabilissimo David Gilmour, altro amico d'infanzia del Nostro. Da quel momento in poi, ha inizio l'ascesa progressiva, prodigiosa e inarrestabile del bassista nelle gerarchie floydiane: scrive sempre più spesso e, quasi in tutti i casi, si tratta di pezzi che non passano inosservati. «Green is the colour», firmata a quattro mani con Gilmour, «Grantchester Meadows», «If»: brani nei quali non fai fatica a rintracciare una certa vena folk, attinta dai dischi dell'amato Bob Dylan.

«Dark Side», poi la leadership
Il grande salto arriva nel 1973 con «The Dark Side of the Moon»: per la band è il passaggio dal circuito off al mainstream con 50 milioni di copie vendute, per Roger il riconoscimento definitivo del proprio talento di songwriter. Con brani come «Money» e «Brain Damage» nel curriculum pretenderà di strafare e potrà pure permetterselo. In «Whish you were here», poema epico sul tema dell'assenza in forma di musica, darà i compiti ai tre sodali come sua madre faceva con gli alunni. «Animals» e «The Wall» sono concept frutto esclusivo del suo genio, nei quali pretende addirittura i gradi di lead vocalist. E ci vuole coraggio, quando la natura non ti ha fatto proprio dono di corde vocali eccelse e accanto hai un mostro di bravura canora del calibro di Gilmour. Coraggio o una smodata fiducia nei propri mezzi.

Guerra e pace (interiore)
La stessa che, per «The Final Cut», lo porterà prima a estromettere Wright, poi a pretendere per decreto regio lo scioglimento della band. Gilmour non sarà dello stesso avviso. Guai a contraddire un condottiero: come minimo ti dichiara guerra. Ne nascono liti e contenziosi destinati alla definitiva archiviazione solo con la reunion del «Live 8», nel 2005. Il Waters di oggi non ha perso certo il carisma di grande condottiero: potranno confermarlo i 50mila che, a luglio scorso, lo hanno visto allo stadio Olimpico di Roma alle prese con «The Wall». Ma rispetto all'aurea aetas dei Floyd sembra un uomo finalmente in pace con sé stesso. Chissà come prenderà gli articoli per il suo settantesimo compleanno. Forse rivolgendosi idealmente all'altrettanto carismatica madre, scomparsa nel 2009 alla veneranda età di 96 anni, chiederà consiglio: «Mother, do you think they'll try to break my balls?».

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