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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2013 alle ore 08:50.
Per i suoi praticanti il jazz non è mai stato una musica facile da condurre dove volessero. Un illuminante caso è quello di George Benson, nato (nel 1943) per diventare – così pareva destinato – un chitarrista tra i maggiori del ramo afroamericano, tanto che a 23 anni, nel presentarlo in un disco dell'organista Jack McDuff, la Columbia lo definiva senza troppo esagerare «il più eccitante nuovo chitarrista dell'odierna scena jazz». E a 25, nel '68, dati ulteriori progressi, addirittura Miles Davis lo inserì nella sua corte, in un disco (Miles in the sky) e in infiniti concerti. Accadde però poi che un famoso produttore, Creed Taylor, lo portasse sul ricco filone del pop, alla meglio di un jazz così edulcorato da parere un rock/pop. Per qualche tempo il successo arrise, e grande, ma a soffrirne fu la chitarra, soprattutto quando il favore prese a calare, perché Benson trovò il rimedio per restare una star: diventò cantante.
Debiti nei confronti del jazz, nonostante qualche tentativo per coprirli, certo rimanevano (il compianto critico inglese Richard Cook trovò per l'identità di questo artista l'aggettivo "esasperante", condivisibile almeno quanto la citata glorificante frase della Columbia). Ebbene, Benson ora ha pensato di chiudere il conto chiamando come mallevadore un grande cantante, Nat King Cole (1919-65). A lui dedica, dopo quattro anni di lavoro, cioè di prove e riprove, il nuovo disco (su etichetta Concord) Inspiration: a tribute to Nat King Cole.
È un'opera ricca di un fascino molto vicino a quello immenso di Cole, di cui sono eseguiti alcuni tra i capisaldi di un successo che l'assai precoce morte non ha potuto cancellare. È bravo Benson nel far rivivere canzoni "sempreverdi" come When I fall in love, Route 66, Nature boy e così via, ma ha anche disposto bene tutto in scena. Addirittura Mona Lisa è offerta due volte, la prima essendo un curioso reperto: la esegue sempre lui, ma a otto anni, in un concorso per scolaretti. Nell'araldica Unforgettable gli compare accanto la sensibile tromba di Wynton Marsalis, nello Smile di Charlie Chaplin c'è quella del tedesco Till Brönner, altrove danno apporti le cantanti Idina Menzel e Judith Hill, mentre gli arrangiamenti usati sono a volte quelli originali di Nelson Riddle. E tutto ha una bella dose di swing.
Come post scriptum, resta da rammentare qualcosa. Nemmeno Nat King Cole esordì da cantante ma, come Benson, vi arrivò dopo essere stato altro: un meraviglioso grande pianista. Guai se, affascinati dalla sua voce, dimenticassimo che dal 1936 e per un decennio egli alla tastiera creò addirittura un suo stile, sviluppandolo da Art Tatum e Earl Hines, ed ebbe pure il merito di inventare un piano trio innovativo (e poi largamente imitato) che vedeva Oscar Moore, a sua volta uno dei primi chitarristi "elettrici", in sostituzione del comune batterista. Pare che Cole stesso si rendesse ben conto di valere più come pianista che come cantante. Ma preferiva non dirlo in giro.
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