Tre grandi outsider in esilio

Un tipo sicuro di sé, tanto da guadagnarsi il rispetto – lui, ebreo e straniero – di gran signori, altezzosi per censo e cultura. Elia del Medigo era venuto da Creta in Italia verso il 1480. L'isola dell'Egeo, detta Candia dai veneziani, che la governavano, era tradizionale terra d'incontro tra mondo greco, latino ed ebraico. Ed Elia, di antica famiglia ashkenazita, impersonava la ricchezza di un'eredità multietnica. Aveva fatto studi rabbinici e s'era impadronito delle scienze profane. Era un filosofo fatto e finito, esperto di Averroè. E soprattutto, la conoscenza dell'ebraico gli dava accesso a testi ignoti in latino. A Padova, dove teneva lezioni molto apprezzate, gli umanisti facevano a gara per sentirlo. Tra i suoi allievi e amici più brillanti e snob, spiccavano il giovanissimo Conte Giovanni Pico della Mirandola e il nobile veneziano Domenico Grimani, figlio di un doge e futuro patriarca di Aquileia. Pico si entusiasmò a tal punto del maestro ebreo da commissionargli la traduzione di rari commenti averroisti dall'ebraico in latino, e da chiamarlo a Firenze e a Perugia, per studiare e discutere di teologia e di mistica. Elia si prestò di buon grado, mantenendo però un cortese riserbo sulla qabbalah. Un po' non gli garbava parlare dei segreti della creazione con un cristiano e, ancor più, alcuni insegnamenti esoterici urtavano il suo austero razionalismo. Delle critiche anti mistiche Del Medigo scrisse invece apertamente in un suo libro in ebraico, composto dopo il ritorno a Creta, dove morì nel 1492. L'Esame della religione, ora tradotto da Giovanni Licata, è l'ultimo frutto di un pensatore a proprio agio in diverse tradizioni. E guarda caso, piacque anche a Spinoza, che lo aveva nella sua biblioteca. Pico, Grimani, Spinoza: non male per un outsider in esilio.
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Giovanni Licata, La via della ragione. Elia del Medigo e l'averroismo di Spinoza, Eum, Macerata, pagg. 422,
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