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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2013 alle ore 08:51.

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Cartoline da Mito, il Festival che rende piacevole il ritorno in città dopo l'estate, mentre riveste di suoni Milano e Torino, per tutti, per tre intense settimane. La prima cartolina è il concerto di Yuri Temirkanov. Imperdibile, anche se dirige sempre lo stesso repertorio, con la stessa orchestra (la sua, la Filarmonica di Pietroburgo) e con lo stesso gesto, anti-direttoriale, inconfondibile, da non imitare. Ha 74 anni, e anche sul fronte anagrafico resta sempre uguale. Perché tornare a sentirlo? I 2400 posti degli Arcimboldi, la sala più acustica di Milano, e che gioia ritornarci, non presentavano un posto libero. E sarebbe una ripetizione dire anche della bellezza del risultato sonoro, dell'incanto del fraseggio, della magia dell'interpretazione. Le note ti sembra di toccarle, nella fantasia del ritmo mai banale, mai veramente in battere, con quei colori degli strumentisti, senza termini di paragone con qualsiasi altra tavolozza orchestrale nel mondo. Due bis, dopo la voluttuosa Shéhérazade di Rimskij-Korsakov: Elgar e Stravinskij. Anche quelli, sempre i soliti. Il pubblico sarebbe andato avanti tutta la notte ad ascoltarli.
Per dire Temirkanov bastava l'attacco del Terzo di Rachmaninov, con le prime due note – due! – dell'entrata degli archi, per farti balzare in avanti sulla sedia. Velluto, mondi lontani, pura malinconia. Su questo tappeto si accomodava il pianoforte di Federico Colli, giovane italiano sconosciuto e che fa di tutto per mantenersi tale. Non racconta dove è nato e quando, ma solo che ha vinto negli ultimi anni due primi premi, al Mozart di Salisburgo e soprattutto a Leeds. Viene dalla squadra di Imola, naturalmente.
Mani piccole, suono netto e squillante: uno si chiede se mai arriverà in fondo al demoniaco Rach3, dopo Horowitz assegnato solo alle taglie extra-large. Eppure Colli non solo conquista la meta, sfoggiando tenuta tecnica di estremo virtuosismo, ma riesce anche a conquistare una lettura personale. Molto ben sorretto dal direttore, che lo agevola nei volumi con l'orchestra, svela la natura liberty, decorativa, insinuante del Concerto. Più americano che russo, più seta che pelliccia. Colli suda, asciuga minuzioso mani, fronte e tastiera. Non lo aiuta la giacca del frac, bianca, modello lenzuolo. Mentre l'orchestra ha eleganti abiti offerti da Canali. Come bis suona un Corale Bach-Busoni perfettamente dosato nei pesi, con la sinistra grave, col tema, come fosse alla pedaliera dell'organo, la destra guizzante, in un florilegio di note. Molto bene.
Ma le cartoline da Mito non sono solo la "cartolona" Temirkanov, che per grandiosità e successo funge da vera inaugurazione del Festival. Ad aprirlo era venuta l'austera Akademie für Alte Musik di Berlino, con gesto insolito e forse un pizzico di provocazione, che per una manifestazione al settimo anno ci vuole: il "Warum?" del mottetto di Brahms, a cappella, si prestava a molteplici letture. Perchè taglio continuo dei finanziamenti pubblici? Perchè qui bastavano una quarantina di coristi, per la Messa di Mozart, in do minore K427, scolpita nel contrappunto, perfetta e intonata, mentre nei nostri cori ne servono cento?
E perché i direttori giovani di oggi preferiscono un Mahler che fa sempre successo alla musica contemporanea? Se lo chiedeva il compositore George Benjamin, in un incontro alla Gam, prima di dirigere pagine proprie e di Britten al Teatro Dal Verme. Ha scrittura che si scalda dall'incontro con la voce. Anche nel gesto si infervora, tanto che imprevista spezzava in due la bacchetta, sul podio della impeccabile London Sinfonietta. Peccato i brani fossero quelli storici, di trenta-venti anni fa. Si spera che prima o poi qualche teatro lungimirante recuperi il suo Written on Skin, perso in stagione a Firenze. Perché sì, è giusto ricordare: e il ricordo di Cathy Berberian, a trent'anni dalla morte, è l'ultima cartolina da Mito. Parlavano di lei Restagno, Bussotti, Pestalozza; Ballista suonava un suo pezzo buffo (Morsicati, tra alfabeto Morse e zanzare), sfilavano filmati registrati alla Rsi, raccolti da Nicola Scaldaferri nel nuovo libro (Il Saggiatore) dedicato alla meravigliosa cantante. Ma il Mito più vero lo trovavi col pubblico seduto anche a terra nella Basilica di San Calimero: orecchie tese per Dowland, con Michael Chance e il liuto di Paul Beier. Musica importante, ascoltata come fatto normale. Questa sì, cartolina dal futuro.
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Rachmaninov, Concerto n.3, Rimskij-Korsakov, Shéhérazade; Federico Colli, pianoforte, Filarmonica di San Pietroburgo, direttore Yuri Temirkanov

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