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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2013 alle ore 16:54.

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I nudi di Walter Chappell in mostra a Modena - Foto

Il primitivismo che impera nelle foto di Walter Chappell (1925-2000) può per certi versi ricordare quello che Picasso ha esplicato ne Les Demoiselles d'Avignon, opera d'arte anch'essa infinita, alla perenne ricerca di una sintesi di forma e contenuto.
Di conseguenza non è per nulla inopportuno affermare che le immagini di questo artista, che ha segnato la storia della fotografia americana ed internazionale del XX secolo, siano il frutto di studi antropologici sull'essere umano ed il mondo in cui orbitava, con una ovvia interconnessione fra l'uno e l'altro. I nudi appaiono in questo modo, quale espressione della Natura intesa forza cosmica che orienta il tutto.

Seguendo istintivamente queste teorie, Chappell, pienamente inserito nell'influente vita delle istituzioni anglosassoni come la George Eastman House di cui era curatore, decide in controtendenza, di abbandonare i fasti della cosiddetta civiltà e di trasferirsi nel New Mexico, con tappe in California ed alle Hawaii; "sprofondando" completamente nelle sue inclinazioni ed arrivando ad avere un rapporto simbiotico con il Creato che lo circondava. Il suo aspetto, oramai, aveva raggiunto una espressività anch'essa primitiva, propriamente indigena per così dire. I tratti somatici si erano piegati al suo volere e sebbene avesse una carnagione chiara; le linee del suo viso sembravano seguire lo stesso percorso rintracciato sui volti dei nativi americani coi quali era cresciuto, avendo trascorso la sua infanzia in una riserva indiana.

La retrospettiva organizzata dalla Fondazione Fotografia di Modena all'Ex Ospedale di Sant'Agostino, offre la possibilità di indagare finalmente in maniera completa, la filosofia creativa che si celava dietro l'obiettivo di Chappell pubblicando per la prima volta, una lunga intervista fiume, quasi un memorandum (che ricopre cronologicamente l'arco che va dal 1925 al 1953) raccolta negli ultimi anni di vita dal figlio Robin.
La vita di Chappell sembra avventurosa come i romanzi di frontiera tanto cari agli statunitensi, alle prese con una indomabile propensione verso l'elemento selvaggio, vissuto talmente "on the road" da farlo apparire una sorta di Kerouac della fotografia.

Dalla profonda compenetrazione fra l'uomo e l'ambiente che lo ospita, ci appare oltremodo evidente la chiave d'accesso del suo lavoro che ricongiunge finalmente in pace l'individuo con la natura. Dall'attenta analisi dei suoi discussi lavori ammiriamo le linee della materia umana che si fondono fino a diventare tutt'uno con l'orizzonte, anzi addirittura appaiono il prolungamento dell'orizzonte, la luce si riflette sui corpi esplorandoli come elemento naturalistico. Proprio questo aspetto ritroviamo nei suoi scatti (a volte a colori a volte in bianco e nero per sottolineare ulteriormente la struttura dei soggetti rappresentati ); una corrispondenza fra l'erosione delle rocce che sembrano richiamare, spesso, le forme scarne degli individui ritratti.

Fondazione Fotografia Modena
Ex Ospedale Sant' Agostino
Walter Chappell
Eternal Impermanence
a cura di
Filippo Maggia
13 settembre 2013 / 2 febbraio 2014
www.fondazionefotografia.org
Catalogo edito da Skira Editore

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