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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2013 alle ore 14:34.

Ci sono personaggi chiave della storia del rock che in vita loro non hanno suonato nemmeno una nota. Nella platea dei Phil Spector, degli Andrew Loog Oldham e dei Malcolm McLaren c'è anche il figlio di uno sceneggiatore inglese di origini ebraiche, un «ragazzo» degli anni Sessanta sempre con l'obiettivo in mano, un professionista dello scatto più a suo agio con la varia umanità del backstage di un concerto che con le passerelle di alta moda o le pubblicità patinate.
Si chiama Gered Mankowitz, oggi ha 67 anni e insegna fotografia allo University College di Falmouth. Forse il suo nome vi dice poco ma, se comprate dischi, c'è da credere che ne conoscete l'opera. Quando aveva una ventina d'anni, nel suo studio di Mason's Yard, Mankowitz ha dato un contributo fondamentale alla definizione della nascente estetica rock, ritraendo gente come Rolling Stones e Paul McCartney, Jimi Hendrix e Pink Floyd in pose rimaste impresse indelebilmente nell'immaginario collettivo. Musicale e non. Una mostra e un libro ne celebrano i cinquant'anni di attività: fino al 2 novembre alle Snap Galleries di Londra è in programma la retrospettiva «Gered Mankowitz: 50 years of rock and roll photografy», evento supportato dalla pubblicazione del volume omonimo di 320 pagine di Goodman, casa editrice specialista del «genere». I testi del libro portano la firma di pesi massimi del calibro di Keith Richards, Bill Wyman e Annie Lennox. Si dà fondo a un catalogo che probabilmente non ha pari nella storia della fotografia della musica, tant'è vero che alcuni suoi pezzi celebri fanno adesso parte della National Portrait Gallery di Londra.
Un figlio d'arte prestato alla fotografia
Mankowitz è a suo modo una leggenda. Discende da una famiglia di ebrei russi emigrata in Inghilterra. Suo padre era Wolf Mankowitz, commediografo e sceneggiatore che, tra le altre cose, lavorò al copione di «Casino Royale», parodia anni Sessanta del filone 007 con un cast stellare che andava da Peter Sellers a Woody Allen, da David Niven a Orson Welles. In mezzo al mondo dello spettacolo Gered ci nasce ma, con il vento di rivoluzione dei Sixties che soffia forte, il ragazzo sa scegliersi il suo particolarissimo showbiz: debutta nel 1963, anno dell'esplosione dei Beatles e della prima uscita discografica dei Rolling Stones. Ritrae prima Chad & Geremy, duo folk molto in voga nella Swinging London, quindi una sublime Marianne Faithfull che lo introduce al turbolento mondo di Mick Jagger e company. Sarà lui a fotografare gli Stones sfuggenti e svogliati, belli, sporchi e cattivi della copertina di «Out of our heads», con in prima fila un Brian Jones ancora pronto a far valere il crisma di fondatore. Nel 1967 ne azzecca un'altra: atterra nel Regno Unito un pirotecnico chitarrista americano che non riesce a sfondare nella madrepatria e chiede asilo discografico alla City. Mankowitz lo mette in posa con la sua sgargiante giacca militare alla Sgt. Pepper: nasce il mito di Jimi Hendrix e il giovane fotografo inglese ne fotografa il battesimo.
I tentativi con cinema e pubblicità
Alla fine degli anni Sessanta Mankowitz proverà ad allontanarsi per la prima volta dalla musica, mettendosi sulla strada del cinema. Dura poco: l'ambiente non gli piace, torna a Londra e apre un nuovo studio a Soho che di lì a poco diventa punto di riferimento per la scena glam. I ritratti di Suzi Quatro e Gary Glitter finiscono così per arricchire il suo portfolio. Alla fine del decennio, con l'esplosione punk, altro tentativo di «fuga» dalla musica: Mankowitz si propone alle agenzie di pubblicità. Tutti dimostrano di apprezzare il suo lavoro ma nessuno gli dà commesse. «Figliol prodigo» per la seconda volta, torna al rock grazie alle richieste di artisti come Jam e Generation X, da ragazzini tutti fan delle band da lui «illustrate».
Un archivio senza paragoni
Negli anni Ottanta è molto richiesto dalla scena mainstream: gli Eurythmics, Kate Bush, Elton John e i Duran Duran lo chiamano a ripetizione, così come nei Novanta sarà scomodato da Suede e Oasis per dare manforte con i suoi scatti all'immaginario vintage del nascente fenomeno Brit-Pop. Oggi Mankowitz si gode il rinnovato interesse per il suo archivio storico che non disdegna di rielaborare con il colore, come ha fatto con la celebre icona hendrixiana del 1967. Può permetterselo: dopo tutto incarna cinquant'anni di storia del rock. Dal punto di vista dell'occhio, ovviamente.
Gered Mankowitz: 50 years of rock and roll photografy
Londra, Snap Galleries, dal 14 settembre al 2 novembre 2013
www.snapgalleries.com
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