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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2013 alle ore 16:14.

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Un'immagine del film RushUn'immagine del film Rush

Ci sono settimane in cui è inevitabile fare una scelta tra le uscite in sala. Per questo consigliamo vivamente di andare a vedere Il futuro, coproduzione internazionale diretta da Alicia Scherson con un ottimo Nicolas Vaporidis e una storia forte da raccontare, anche se con le sue ingenuità. E lo stesso facciamo, in fondo, con Grandmaster di Wong Kar Wai che senza infamia e con qualche lode mette in scena il "solito" Tony Leung e resuscita l'immaginario del kung fu con la consueta eleganza e declinandola al suo cinema, fatto di una fotografia perfetta nell'equilibrio di luci e ombre quanto lo è il suo continuo gioco tra i sessi.

Dispiace anche lasciare in disparte Via Castellana Bandiera, che pure non porta Emma Dante ai suoi eccellenti livelli teatrali ma che gode della splendida interpretazione di Elena Cotti (Coppa Volpi a Venezia), e You're Next, thriller horror che sa difendersi, per ritmo e cattiveria.
Ma questa è la settimana di Rush e Sacro GRA, che scrivono sull'asfalto vere e proprie poesie cinematografiche, fatte di un'epica sportiva portata alla massima potenza nel caso di Ron Howard e di una umanissima, naif e originale per quanto riguarda Rosi.
Partiamo, doverosamente, dal Leone d'Oro, quel documentario che ha cambiato la piccola grande storia del cinema italiano e del Festival di Venezia. Un racconto variegato, ironico e a tratti surreale che guarda Roma e i romani da un'ottica diversa, quella dell'autostrada urbana più grande d'Italia, il Grande Raccordo Anulare. Lì Rosi, partendo dall'idea di Bassetti che scrisse un libro dopo averlo percorso a piedi, si trova di fronte a personaggi nobili e cialtroni, come i veri romani sanno e vogliono essere, a luoghi fuori dal tempo, a spicchi di vita che ricordano scorci verdoniani e rispondono idealmente a Sorrentino (sebbene il viaggio del regista sul GRA sia durato più di tre anni e sia iniziato prima).

Con un montaggio sapiente, uno sguardo originale, la capacità di scrivere una storia avvincente cucendo pezzi di vita, Sacro GRA ti colpisce, ti entra nel cuore. Dal palmologo che combatte la malattia delle piante che più ama con l'epica di un generale d'altri tempi all'infermiere dell'ambulanza, fotografia di una solitudine sorridente e malinconica, Rosi sa trattenerci attorno a quella strada sempre trafficata per aprirci un varco in una modernità che lì è rimasta sospesa, a un'umanità particolarissima e allo stesso tempo universale. E tutto questo grazie a un'opera che sa essere profonda e spesso divertente e in cui il cineasta, che già aveva colpito molti con il bellissimo Below Sea Level e l'ottimo El Sicario-room 164, sa utilizzare al meglio la nuova anima del documentario, un ibrido narrativo e visivo che dà tantissime opportunità.
Ne dà tante anche quel 1976 che in Formula 1 viene ricordato per la rivalità tra Niki Lauda e James Hunt e per il terribile incidente del primo al Nurburgring. Questo, messo in mano a Ron Howard (e a Peter Morgan, lo stesso sceneggiatore di Frost/Nixon), diventa una riedizione spettacolare e coinvolgente del duello tra Ettore e Achille.

La forza di Richie Cunnigham – il popolare personaggio di Happy Days che il cineasta interpretava in gioventù – è tutta in un impianto visivo perfetto, in una ricostruzione quasi inquietante per la sua mimesi con la realtà d'allora – dai costumi alle auto passando per le acconciature – e allo stesso tempo in una scrittura secca e appassionante che con grande semplicità ci mette di fronte a due eroi contrapposti: il duro stakanovista e lo spensierato scavezzacollo, il serio e l'irriverente, l'uomo che rifugge la vita e quello che la cerca fin troppo. Quel tipo di contrasto, persino banale, nelle mani di Howard e grazie alla splendida interpretazione di Daniel Bruhl diventa oro puro, permettendo al film di diventare un capolavoro del cinema sportivo, e non solo. Lo scontro tra titani è da cinema classico d'altri tempi, la delicatezza con cui sfrecciano sui circuiti le loro fragilità, almeno quanto le loro Ferrari e McLaren, lo è persino di più. Lauda-Hunt è la dicotomia dentro ognuno di noi, è la base della dialettica della vita e qui trova, in una storia (vera) straordinaria, la possibilità di essere narrata. Tornando a quegli anni '70 in cui tutto era ancora a misura d'uomo e, allo stesso tempo, tutto sembrava possibile. Nel mondo, sulle piste e, se ricordate bene, anche al cinema.

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