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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2013 alle ore 08:48.

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Nell'ottobre del 2007 Benazir Bhutto, dopo otto anni di esilio trascorsi tra Dubai e Londra, torna in Pakistan. Il suo rientro sulla scena politica è dovuto soprattutto a una serie di pressioni internazionali, che vedono in prima fila gli Stati Uniti, per cui l'allora presidente Pervez Musharraf deve fare buon viso a cattivo gioco.
Il 27 dicembre la Bhutto tiene un comizio a Rawalpindi, dove l'attendono decine di migliaia di sostenitori. Alla fine passa tra la folla e decide di salutarla aprendo un portello sul tetto della Toyota blindata su cui viaggia. Un ragazzo di 15 anni esplode tre colpi di pistola e poi si fa saltare in aria, uccidendo lei e altre 24 persone. A indagare sull'accaduto saranno tre commissioni di inchiesta promosse dal governo pachistano: la prima è quella istituzionale del Punjab, la seconda è di Scotland Yard e la terza è dell'Onu. A presiedere quest'ultima viene chiamato l'ambasciatore cileno Heraldo Muñoz. Mesi di indagini e centinaia di testimonianze raccolte descrivono uno scenario opaco che lascia sospettare il coinvolgimento del governo, e dei servizi segreti pachistani, in una sistematica opera di depistaggio. Il rapporto dell'Onu ha toni cauti ma ora Muñoz racconta in un libro di prossima uscita i non pochi retroscena dell'indagine. La rivista «Foreign Affairs» ne anticipa un lungo estratto.
L'indagine governativa pachistana indica come mandante dell'omicidio della Bhutto Baitullah Mohsud, capo di una formazione talebana che aveva base nel Waziristan, che poi verrà eliminato da un drone della Cia nel 2009. A prima vista la tesi sembrerebbe credibile: nel 2007 gli attentati suicidi in Pakistan operati da talebani sono 54 con 765 morti e 1.677 feriti, la Bhutto era vista dagli integralisti islamici come longa manus degli Stati Uniti, ed era fortunosamente già scampata a un attentato al suo rientro a Karachi. Ma l'attacco suicida di Rawalpindi è reso possibile da una lunga serie di negligenze nel garantire alla Bhutto, ex primo ministro, un apparato di sicurezza. Poi stranamente non si effettua l'autopsia sul suo corpo e sulla scena del delitto vengono raccolti solo 23 reperti. Inspiegabilmente sulla Toyota né gli investigatori di Scotland Yard né quelli dell'Onu riescono a trovare una sola traccia biologica della Bhutto. La strada dove si è svolto l'attentato viene accuratamente ripulita con gli idranti a distanza di poche ore. A governare le indagini sono soprattutto i servizi segreti pakistani, di cui sono noti i trascorsi con i talebani, piuttosto che le forze di polizia. Chi è il burattinaio che muove i fili dietro le quinte? Muñoz sostiene che Musharraf è il mandante morale dell'assassinio, anche se dimostrarlo in tribunale non sarà facile. La prima udienza si è tenuta il 27 agosto a porte chiuse e a chiederne l'incriminazione sono stati il vedovo di Benazir, Asif Ali Zardari, oggi presidente del Pakistan, e il primo ministro Nawaz Sharif, che Musharraf ha mandato in esilio nel 1999. Ma Muñoz sostiene che la saga pachistana assomigli alla commedia Fuente Ovejuna di Lope de Vega: a voler eliminare dalla scena la Bhutto erano i maggiori rappresentanti dell'establishment, quindi i correi sono troppi per scovare un colpevole.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Heraldo Muñoz, Getting Away With Murder, Benazir Bhutto's Assassination and the Politics
of Pakistan, Norton, pagg. 256,
$ 19,76

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