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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2013 alle ore 08:42.

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Nel 2010, non proprio per caso, ho accompagnato verso l'oblio una delle più strane opere d'arte mancate del nostro tempo. Tutto ha avuto inizio con una mail: Gentili Massimiliano Gioni e Maurizio Cattelan, sono il responsabile editoriale della Bur Rizzoli, mi chiamo Ottavio Di Brizzi. Come le avrà accennato Gianluigi Ricuperati vorrei invitarla a essere uno dei protagonisti di un piccolo evento che riguarda la nostra casa editrice, che il prossimo anno celebrerà il sessantesimo compleanno. In occasione dell'anniversario della Bur (1949-2009), tra le varie iniziative che stiamo per varare, abbiamo deciso di creare una piccola collana di libri d'artista ad edizione limitata (non più di 1000 copie per libro). Stiamo pensando di invitare a collaborare all'iniziativa alcuni importanti nomi del panorama italiano e internazionale, chiedendo loro di ideare una nuova veste grafica per alcuni testi classici pubblicati dalla Bur, scegliendo tra essi quello che meglio esprime una certa affinità o gusto, realizzando un vero e proprio oggetto-libro d'artista.

TASCABILI DA COLLEZIONE
Ottavio Di Brizzi aveva chiesto a me di individuare quattro artisti o designer per «celebrare i sessant'anni della Bur», e avevamo coinvolto Luigi Serafini, Enzo Mari e Peter Saville: tre personalità a cavallo di diverse discipline. Superbamente irrisolti, curiosi e disponibili a inventarsi libri-oggetto davvero speciali. Il quarto, però, doveva essere un artista, e non uno qualunque, ma il più celebrato di tutti, l'unico la cui influenza toccava i media in misura potente, uno dei pochi picchi italiani riconosciuti a livello globale in qualsiasi campo: il progetto non sarebbe stato completo senza un volume realizzato da Maurizio Cattelan. Così attraverso alcuni amici e maestri comuni, era partita la lettera, preceduta e seguita da telefonate e sms. Proiezioni, corteggiamenti, discorsi di soldi, possibilità, aperture: discorsi di tempi. Poi un certo silenzio, che poteva significare senza dubbio no. La natura popolare del paperback doveva e poteva essere l'amo perfetto per tirare Cattelan dentro questa celebrazione dei tascabili Rizzoli, niente di più lontano e comune rispetto alle opere e alle operazioni cui di solito associa il suo nome, acquistate per milioni da membri particolarmente illuminati del club che all'epoca nessuno chiamava ancora «l'uno per cento».

Poi, d'incanto, all'improvviso, Flavio Del Monte, ex ufficio stampa della Fondazione Trussardi, mi avrebbe chiamato sintetizzando l'idea – formidabile – di Cattelan. Far riscrivere da un calligrafo l'intero volume di Guerra e pace, di Tolstoj, e poi stampare una riproduzione anastatica di tutto il lavoro: riga per riga, l'amanuense avrebbe riprodotto fedelmente i milioni di caratteri dell'edizione tascabile del capolavoro russo, come se fosse un codice miniato – ogni gamba, ogni sfumatura, ogni graziato appoggio di tutte le singole lettere che tutte insieme diventano la versione economica di una delle più importanti opere dello spirito occidentale. La Bur avrebbe poi pubblicato un paperback leggibilissimo, ma artigianale, insieme elitario e democratico, una vera e propria opera d'arte concettuale esposta sugli scaffali delle comuni librerie, a un prezzo non molto più alto di un altro qualsiasi rappresentante della medesima classe merceologica: il soffio di un Cattelan nella costola centrale della letteratura moderna, in un tipico abito accessibile a tutti: produzione di realtà, produzione di conoscenza, produzione di meraviglia in un colpo solo.

IN CERCA DI CALLIGRAFI
All'inizio doveva essere un calligrafo europeo, ma poi i costi sarebbero lievitati, e quindi si è aggiunto uno strato di significato a un'operazione già di per sé condottiera di vertigini: affidare la trascrizione tipografica manuale a un braccio asiatico. Perché costa meno, perché non c'è niente di meglio che far copiare l'originale di una pietra miliare dell'Ovest da qualche esponente di un'antica arte orientale (la scrittura a mano), magari nato e cresciuto in un'economia basata in buona parte sul talento della contraffazione arguta, massificata, incredibilmente vantaggiosa. Avevamo calcolato che con un ritmo di lavoro di sei-otto ore al giorno si sarebbe forse riuscito a concludere entro un anno, ma presto fu chiaro a tutti che non si sarebbe mai andati oltre le cento pagine di prova richieste dall'artista per capire se funzionava. Per mesi si sono susseguite le prove, i calcoli, i tentativi, i carteggi digitali e fisici, le titubanze e gli incontri – durante uno dei quali, al caffè Trussardi vicino a piazza della Scala, ho messo nelle mani di Cattelan una vecchia copia brutale de la Bière du Pêcheur di Tommaso Landolfi – Purtroppo le finanze dell'editoria tradizionale italiana non potevano supportare uno sforzo così puntuale e prolungato, e incerto, e il progetto fu sospeso – gli originali della trascrizione sarebbero rimasti a Cattelan, e a noi, con dolcezza, sarebbe rimasta l'impronta ideale di una parabola quasi perfetta, che aveva mancato di esistere per un dettaglio o due.
Confesso che mi ha sempre incantato l'idea di una ragazza asiatica del XXI secolo, probabilmente cinese, per la quale l'alfabeto nel quale è scritto Guerra e pace non significava molto più che un'infinita sequenza di zampette, alle prese con una storia che racconta anche le relazioni di conquista e resistenza reciproche di Oriente e Occidente. E magari intenta a seguire la trama in traduzione, nelle lunghe ore di lavoro, per comprendere cosa stesse succedendo, per tirare su tutto quello che poteva dalla fatica intollerabile di riprodurre ogni significante senza azzeccare nemmeno un significato, ingranaggio fisico di una costosa macchina fatta di relazioni e potere, scambio simbolico e grande balzo in avanti. Continuo a immaginare la sua stanza. Continuo a immaginare che qualcuno avrebbe potuto andare a trovarla, e raccontarle il romanzo capitolo dopo capitolo, mentre l'artrite si consumava lungo l'orlo della carta pregiata, goccia d'inchiostro dopo goccia d'inchiostro. Continuo a immaginare cosa avrebbe provato l'amanuense una volta giunta all'inizio del terzo libro, quando Pierre si lascia impressionare da una profezia raccontatagli da un massone, secondo cui leggendo l'espressione «l'empereur Napoléon» in base a un sistema di decrittazione ebraico in cui a ogni lettera sono associate cifre, il totale arriva a seicentosessantasei. Forse questa cifra non le avrebbe detto molto. L'arte – come la Storia – è una cripta, pensata dentro una cripta, per persone che vivono in quella cripta.

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