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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2013 alle ore 08:55.

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C'era un tempo in cui intellettuali e politici erano sì faziosi, ma anche competenti, cioè preparati e/o intelligenti. Oggi gli ultimi due attributi si son rarefatti. Forse anche questo fenomeno, descritto in altre professioni dagli psicologi dell'intelligenza, si spiega col fatto che nel passato chi conseguiva una laurea o si avviava verso una carriera intellettuale (o politica) entrando così a far parte dell'élite socio-economica di una nazione, doveva avere un quoziente intellettivo elevato ereditario, cioè una buona combinazione innata di geni per l'intelligenza. Con la diffusione dell'istruzione di massa e l'accesso ad ambienti più interessanti, anche persone con QI ereditari più bassi hanno potuto intraprendere una carriera intellettuale o politica – in pratica, questo, grazie all'effetto Flynn – per cui il QI medio si è abbassato. Con le conseguenze che in Italia possiamo quotidianamente costatare, assistendo al mortificante spettacolo che ci consegnano la maggioranza di politici e intellettuali, incapaci, anche per scarsa intelligenza, di capire e governare i problemi del paese.
Il tema della genetica o dell'ereditarietà dell'intelligenza, cioè di quanto i geni e l'ambiente concorrano al QI, è di quelli che mandano in confusione e fanno sragionare, perché ritenuto politicamente scorretto. E come si comporta chi si fa guidare dall'ideologia e dal settarismo, per ignoranza o poca intelligenza: nega che i geni c'entrino qualcosa con l'intelligenza! O con l'economia, la politica eccetera: insomma con quella roba poco definita che piace snobisticamente chiamare "cultura". Cioè nega dei fatti, come che le differenze genetiche individuali contano e sono più predittive (statisticamente) di quel che si farà nella vita, dell'ambiente in cui si cresce. In questa trappola cadde anche uno dei più intelligenti biologi del Novecento, Stephen Jay Gould, il quale scrisse un libro che non solo eludeva il problema, negando l'esistenza di fatti accertati, come il gap nel QI tra bianchi e neri o la validità empirica dei concetti usati dagli psicologi dell'intelligenza. Ma lui stesso – anche più degli psicologi dell'intelligenza razzisti – cadeva vittima di pregiudizi ideologici. Al di là dell'impianto politico-propagandistico, in Intelligenza e pregiudizio Gould falsificò strumentalmente il punto di vista di alcuni studiosi e accusò, erroneamente e senza controllare, altri studiosi di aver prodotto misure craniometriche manipolate per dimostrare i loro pregiudizi razzisti.
Diversamente da Gould, un altro intellettuale e scienziato di sinistra, James Flynn ha preso atto dei fatti, cioè ha controllato la validità delle misure dell'intelligenza e quanto tali misure possano provatamente rappresentare, in funzione di conoscenze neurobiologiche plausibili, la componente genetica e quella ambientale dell'intelligenza. Dopo la scoperta che il QI è aumentato nel corso del Novecento (effetto Flynn), egli ha dimostrato che diversi fattori individuali e sociali sono in gioco nel modulare le dotazioni genetiche e consentire di estrarre dai geni le enormi potenzialità che la selezione naturale vi ha depositato. Sia per quanto riguarda chi è dotato di buoni geni, sia per chi è stato meno fortunato nella lotteria genetica.
L'ultimo libro di Flynn riassume le sue scoperte e le inquadra in una prospettiva storico-evoluzionistica e storico-sociale. Una delle chiavi e anche la forza euristica degli argomenti di Flynn derivano dal fatto che egli ha capito un concetto base della biologia: non ha senso chiedersi in che misura un tratto sia determinato geneticamente o ambientalmente. Come diceva il grande biologo evoluzionista George Williams ogni tratto è determinato al 100% sia dai geni sia dall'ambiente. Geni e ambiente (meglio sarebbe dire contesto di espressione dei geni) non sono separabili. E quel che si deve cercare è come, quando e quanto, geni e ambiente riescono a coordinarsi per entrare in consonanza o in dissonanza.
Flynn ha dimostrato che la chiave del successo e della fortuna è quando i geni consentono di selezionare l'ambiente sociale in cui meglio si esprimono le potenzialità e predisposizioni ereditarie (capacità) individuali - questo soprattutto dopo i 17 anni quando mediamente si interrompe l'influenza dell'ambiente familiare e uno se la deve cavare solo con i suoi geni. Inoltre, le sue ricerca dimostrano che il progresso cognitivo umano – ispirato dalla diffusione della scienza nell'insegnamento scolastico – ha introdotto nella pratica corrente un modo di pensare astratto e ipotetico, che ha migliorato anche moralmente le persone. In un libro che sta per esser pubblicato in italiano col titolo Osa pensare (Mondadori), Flynn spiega anche quali sono i concetti, non solo scientifici, che bisogna capire per essere più critici, quindi più autonomi e quindi cittadini anche umanamente migliori.
Flynn dimostra con i numeri e non con mere chiacchiere, per esempio analizzando l'impatto dei genocidi sui QI delle popolazioni, cambogiana piuttosto che croata, o l'evoluzione del QI nei paesi scandinavi, che i totalitarismi impoveriscono geneticamente la società sul piano dell'intelligenza. E che non è vero ciò che pensano i conservatori, cioè che il welfare state favorisce la riproduzione di individui con un QI ereditario più basso. Svezia e Norvegia, che hanno ormai raggiunto il plateau dell'aumento di QI (mentre i paesi in via di sviluppo in questo momento registrano un maggior tasso di incremento o un effetto Flynn più intenso), sono la prova del contrario. È importante capire i fenomeni storici da questo punto di vista per attrezzare l'istruzione e la politica in modo da non vanificare le conquiste di civiltà di cui andiamo così fieri. Che possono andar perdute molto più facilmente di quanto ci sia voluto per raggiungerle.

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